L'Editoriale / Bergamo Città
Lunedì 25 Febbraio 2019
La spazza corrotti
e il patto violato
Ogni legislatore ha il diritto di adottare i provvedimenti di politica criminale che ritiene più opportuni. Tuttavia, tale diritto non è esente da limiti in quanto il prodotto normativo deve «allinearsi» agli indici ermeneutici del sistema giuridico e, primi tra essi, al dettato costituzionale e agli obblighi europei. La conclusione risulta ancora più cogente quando si incide sui «diritti fondamentali», le cui limitazioni possono avvenire solo nel rispetto del principio di proporzionalità dopo una valutazione di «bilanciamento» dei vari interessi in gioco. La trasgressione di un tale ordine normativo genera incompatibilità di disciplina componibile con letture costituzionalmente e/o europeisticamente orientate ovvero con censure di illegittimità costituzionale.
Ed è proprio ciò quel che si prospetta con riferimento alle modifiche normative che si sono meritate l’appellativo di spazzacorrotti; in quella sede, infatti, l’enunciato normativo in più punti ed in più occasioni genera all’interprete momenti di disagio. Si pensi fra tutte alla perdurante tendenza di creare forme parallele e differenziate di disciplina a seconda del reato per cui si procede; come se in assenza di regole speciali quei fenomeni criminali non potessero essere contenuti. Ma, così facendo, si corre il rischio di produrre una giustizia del caso singolo ben lontana da quel dovere di uguaglianza processuale imposto dalla Costituzione.
Quando poi la regola «uti singuli» aggredisce i profili della libertà personale il tema diventa davvero scottante. Situazione riscontrabile nel momento in cui il legislatore restringe gli spazi del condannato per reati contro la pubblica amministrazione ponendo preclusioni normative all’accesso delle misure alternative alla detenzione. Si dimentica in tal modo che le misure alternative al carcere, oltre ad essere espressione di un principio di proporzionalità, concorrono al profilo rieducativo della pena presidiato a livello costituzionale (art. 27 comma 3 della Costituzione). Ma, come se non bastasse, il prodotto legislativo non ha ritenuto dovere affidare l’operatività della materia ad un regime transitorio. Scelta ancora più rimarchevole ove si consideri che tanto le Sezioni Unite della Corte di Cassazione quanto la Corte Costituzionale hanno ribadito che la disciplina che regolamenta le misure alternative al carcere è di natura processuale e quindi assoggettata alla regola intertemporale del tempus regit actum. Pertanto, un soggetto che ha operato scelte processuali, anche di natura deflattiva, facendo «affidamento» sulla possibilità di scontare la pena in modo alternativo al carcere, si trova improvvisamente, ex post, dall’oggi al domani a dover entrare in un istituto carcerario. In tal modo però si viola il contratto sociale tra cittadino e Stato; situazione questa che avrebbe imposto la previsione di una norma transitoria che ancorasse la vigenza della nuova legge ai reati commessi successivamente all’entrata in vigore della stessa. Solo in tal modo l’enunciato normativo risulterebbe rispettoso di quell’obbligo di prevedibilità di matrice europea (art. 7 Cedu) che non attiene solo alla configurabilità del reato ma anche alle conseguenze penalistiche dello stesso in cui è certamente da comprendere il relativo trattamento esecutivo. Inoltre non occorre dimenticare come la prevedibilità di matrice europea risulti connubio indispensabile del principio costituzionale di stretta legalità in forza del quale nessuno può essere punito per un fatto se al momento in cui l’ha commesso la legge non lo prevedeva come reato.
Tali consapevolezze evidenziano incompatibilità costituzionali relative alla previsione di disciplina e all’assenza di regolamentazione transitoria; tuttavia siffatto accertamento impone comunque all’individuo un non preventivato transito carcerario. Di qui la necessità di provvedere quanto prima, al limite anche con decretazione di urgenza, all’introduzione di una norma transitoria che salvi da ingiustizie penitenziarie.
*Professore ordinario di Diritto processuale penale all’Università degli Studi di Bergamo.
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