La Spagna divisa non fa bene all’Europa

MONDO. Riappacificazione nazionale oppure prossima nuova ondata infermabile di regionalismi? Stabilità ritrovata oppure polarizzazione permanente della società?

Quattro mesi dopo le parlamentari di luglio, la Spagna ha finalmente un nuovo Governo, ma tanti - o forse troppi - sono gli interrogativi aperti. Il terzo mandato di Pedro Sánchez pare essere oggi una scommessa ancora più audace rispetto a quella delle elezioni, anticipate di alcuni mesi. Questa mossa, considerata allora azzardata, ha infatti permesso ai socialisti – rileggendo il recente passato – di mantenere il potere. I loro antagonisti, i popolari, hanno vinto sì le legislative, ottenendo il maggior numero di preferenze, ma non hanno avuto la capacità di creare una coalizione che avesse i voti alle Cortes per rimanere in piedi.

La ragione è semplice: nella Spagna post franchista nessuno intende scendere a patti con l’ultradestra di Vox. E a Feijóo, segretario del PP, non è restato da fare altro che cedere il passo a Sánchez, che è, invece, riuscito ad unire ai suoi alleati di sinistra di Sumar anche i partiti regionali e nazionalisti, tra loro quelli basco e catalano. Conclusione: fiducia concessa al nuovo esecutivo per una manciata risicata di voti. Il che significa che il Parlamento diventerà un campo di battaglia per poter far approvare qualsiasi legge in cui non proprio tutti sono d’accordo.

Diversamente, del resto, non si poteva fare. Le altre due opzioni possibili non erano al momento praticabili. La prima era andare di nuovo alle urne entro dicembre; la seconda era quella di fondare una «grande coalizione» alla tedesca tra socialisti e popolari, ma gli spagnoli si sarebbero sentiti presi in giro dopo decenni di accesa rivalità tra le due compagini. Chiaramente i popolari e le estreme destre non l’hanno presa bene ed ora urlano al «complotto», al «golpe», all’«attacco alla Costituzione», alla «corruzione politica», al «voto di scambio». I socialisti avrebbero, a loro dire, «comprato» i voti decisivi dei parlamentari catalani. Pur di tornare alla Moncloa, Sánchez avrebbe fatto approvare l’amnistia agli indipendentisti catalani per quanto commesso dal 2012 al 2023. Il che significa che l’esule in Belgio Carles Puigdemont – colui che organizzò il referendum illegale sull’indipendenza della Catalogna da Madrid nel 2017 - potrà adesso rientrare a Barcellona. Con lui verranno amnistiati anche i direttori delle scuole dove si tenne la consultazione, i funzionari regionali, i poliziotti, ecc.

Puro calcolo politico da parte di Sánchez o presa d’atto che, forse, è venuto il tempo di chiudere una delle pagine più dolorose di politica nazionale degli ultimi anni? Chissà! Che siano gli spagnoli e i catalani a decidere, tenendo presente, però, che l’Unione europea è una unione di Stati - già non troppo forte politicamente all’estero - e non di regioni - figurarsi ancora più impalpabili! Il problema è, tuttavia, un altro: una Spagna divisa e ingovernabile è una pessima notizia per Bruxelles alle prese con le odierne sfide geopolitiche e per l’Italia che vede indebolirsi il «fronte Sud», quello meridionale, dove urgono iniziative epocali – possibilmente comuni con Parigi e Madrid - in materia di migrazione, di cambiamento climatico, di approvvigionamento energetico. Per fortuna sono i dati economici positivi (crescita del Pil al 2,4%, inflazione al 3,6% e disoccupazione sotto controllo) a garantire il raffreddamento dei bollenti spiriti nella penisola iberica. Se è così bravo, che Sánchez trovi adesso anche la quadra per pacificare l’arena della politica nazionale!

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