L'Editoriale
Lunedì 01 Agosto 2022
La società liquida ha partiti liquidi
Il commento Nella nostra storia, c’è un solo precedente di una convocazione elettorale in autunno. Era il novembre 1919, più di un secolo fa, in un’Italia squassata da una gravissima crisi sociale, economica e politica seguita al trauma della Grande guerra. Per la prima volta dall’Unità, il ceto politico, che si vantava di aver costruito il Regno d’Italia, si ritrovò senza una maggioranza in Parlamento. Era finita l’era liberale. Anche oggi si arriva al voto in una condizione, se non altrettanto drammatica, certamente non meno delicata.
Per la prima volta nella storia repubblicana i sondaggi accreditano una vittoria certa a una destra dominata da una formazione , FdI, le cui radici affondano nel Msi, il primigenio punto di raccolta del nostalgismo nostrano. Il carattere, in qualche modo emergenziale, dei due appuntamenti elettorali è però il solo elemento che li accomuna. Per il resto non sono assimilabili. L’Italia del primo dopoguerra vide l’ingresso prepotente dei partiti di massa, che potevano contare su un seguito fedele e disciplinato. Al contrario di oggi, dove una società liquida produce un elettorato altrettanto liquido. Un dato che mette sulle spine i partiti, chiamati a modificare continuamente la loro offerta politica al variare, mai così convulso come nell’attuale congiuntura, delle aspettative degli elettori.
Il combinato disposto della delusione per la caduta di un governo apprezzato e la rivendicazione di un ritorno all’affidabilità dei politici ha terremotato solidarietà politiche consolidate e fatto franare (a sinistra) o traballare (a destra) alleanze partitiche certe fino alla vigilia
Epidemia, guerra, emergenza energetica, inflazione hanno messo sotto scacco sia la polemica anti-Ue sia la protesta anti-casta. Alla richiesta di una destituzione dei vertici politici è subentrata la domanda di una loro riqualificazione in nome della competenza e della serietà. A questo mutato orientamento di fondo dell’opinione pubblica si è sommato l’impatto traumatico subìto per la caduta inattesa, e da molti giudicata immotivata, del governo Draghi. Il combinato disposto della delusione per la caduta di un governo apprezzato e la rivendicazione di un ritorno all’affidabilità dei politici ha terremotato solidarietà politiche consolidate e fatto franare (a sinistra) o traballare (a destra) alleanze partitiche certe fino alla vigilia. È saltato il patto Pd-5 Stelle. S’è consumato un vistoso smottamento dalla destra al centro moderato.
La percezione ormai diffusa che il futuro dell’Italia dipenda dalla sua solidarietà con l’Occidente poggia su vari motivi, ecco quali
Centrale nel creare un sommovimento destabilizzante del quadro politico è stato il ruolo assunto dalla politica estera. La percezione ormai diffusa che il futuro dell’Italia dipenda dalla sua solidarietà con l’Occidente poggia su vari motivi. Primo: per la sua enorme esposizione finanziaria. Secondo: per il necessario soccorso alla sua economia dell’European ricovery plan. Terzo: per la minaccia incombente della politica espansionista della Russia. Tutto questo ha reso la politica estera, tradizionalmente cenerentola nella lotta politica nazionale, cruciale nel confronto elettorale. Le simpatie pregresse, quando non le sospette solidarietà di esponenti del centro-destra con Russia e Cina, così come sono emerse dai presunti contatti avuti da Salvini e da Berlusconi con l’ambasciata putiniana, sono diventate il centro di critiche serrate e, forse, il piombo nelle ali di Lega e FI.
Una volta tanto, il fantomatico centro politico, sempre evocato e mai concretizzatosi in una presenza di un qualche rilievo, ha trovato nel ceto produttivo un supporto che può decidere delle sorti della sfida elettorale
Mancano ancora due mesi all’apertura delle urne e tutto può ancora succedere. Restano anzitutto da definire i confini dello schieramento di centrosinistra (se comprensivo o meno di Calenda e di Renzi). Prima o poi, inoltre, i partiti si decideranno a farci conoscere i loro programmi. Infine, c’è da sciogliere il rebus dell’approdo elettorale dell’insoddisfazione maturata dal mondo produttivo nei confronti delle forze politiche loro tradizionali punti di riferimento. L’inusitata, massiccia mobilitazione di piazza del popolo dei produttori, grandi e piccoli, delle partite Iva, persino dei sindacati operai, che si è registrata nelle convulse giornate precedenti la caduta di Draghi, tradiscono la delusione accusata da quello che è stato storicamente uno dei pilastri del radicamento sociale del centrodestra. È su questo fronte che possono venire le sorprese maggiori, capaci di correggere o addirittura smentire la predizione di una vittoria scontata dello schieramento capitanato dalla Meloni. Una volta tanto, il fantomatico centro politico, sempre evocato e mai concretizzatosi in una presenza di un qualche rilievo, ha trovato nel ceto produttivo un supporto che può decidere delle sorti della sfida elettorale, ultima ancora di salvataggio del Pd, dopo il naufragio dell’alleanza stretta con i 5 Stelle.
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