L'Editoriale
Lunedì 20 Maggio 2019
La sindrome
delle spie russe
ci danneggia
Ragazzi, ammettiamolo: conviene arrendersi. Se diamo per scontato, com’è logico fare, che le spie dei diversi Paesi siano in attività costante, allora i russi hanno già vinto. E non per quello che fanno ma per quello che riescono a farci fare. L’ultimo caso, quello dell’austriaco Heinz-Christian Strache, vice-cancelliere e leader del Partito austriaco della libertà, è emblematico. Poco prima delle elezioni che nell’ottobre del 2017 l’avrebbero proiettato al vertice della politica nazionale, Strache viene invitato in una villa di Ibiza da una bella signora russa, sedicente Aljona Makharova. I due non sono soli: c’è il marito di lei, c’è il braccio destro di Strache insieme con la consorte. La presunta Makharova si spaccia per nipote di un oligarca e dichiara di voler investire 250 milioni in Austria. Chiede, però, aiutini illeciti. E Strache invita, promette, ammicca, insulta gli avversari politici, fantastica e, ovviamente, chiede soldi.
Peccato che la villa fosse piena di microfoni e telecamere. Che il video girato allora sia saltato fuori proprio alla vigilia delle elezioni europee. Che nessuno, nemmeno i giornali che l’hanno diffuso, sappia da chi arriva. E soprattutto che la nipote dell’oligarca non esista. Strache si è fatto bidonare da un’impostora. La quale, evidentemente, ha sfruttato la sua dabbenaggine ma anche la psicosi europea che vede ogni dove oligarchi russi danarosi, maneggioni e corrotti.
Il «caso Strache» non può non richiamare il Russiagate americano. Negli Usa, una miriade di investigatori, agenti, magistrati e avvocati, coordinati dal procuratore speciale Robert Mueller, ha rovistato nella vita privata e politica del presidente Trump nel presupposto che la sua elezione fosse avvenuta grazie a una collaborazione illecita con i servizi segreti russi. Conclusione di Mueller dopo due anni: nessuna prova, il fatto non sussiste. Conclusione a cui si poteva arrivare assai prima se, appunto, si fosse smesso di correr dietro ai fantasmi. I due ex collaboratori di Trump ora in galera sono stati condannati per frode e reati fiscali. L’unico personaggio russo finito nei guai è certa Maria Butina, una che non si nascondeva, che voleva farsi strada nelle lobby americane degli armamenti e che è stata condannata a 18 mesi di carcere per «cospirazione per agire come agente straniero dello Stato russo non registrato negli Usa». Sai che spia.
Con il che si torna all’assunto iniziale. Tutti gli Stati che mantengono un servizio segreto spiano qualcuno. Italia compresa. Altrimenti, perché spendere tutti quei soldi? Il che vale per i russi, gli americani, gli inglesi, i francesi, gli israeliani, i cinesi e quant’altri. Tutti spiano tutti, come un’infinità di casi (Wikileaks, Edward Snowden, Chelsea Manning), compreso quello di Strache, dimostrano. Non fu Barack Obama a doversi scusare quando venne fuori che i suoi servizi segreti origliavano persino il cellulare di Hollande e della Merkel?
In nessun’altra parte del mondo, però, si è sviluppato il masochismo che regna in Europa e negli Usa. Solo noi siamo riusciti a convincerci che i servizi segreti russi, e soprattutto gli hacker, sono così potenti da farci fare quel che vogliono loro: dall’elezione di Trump alla Brexit, dalla secessione della Catalogna alla crescita dei partiti anti-sistema, dal fallimento del referendum costituzionale in Italia al sabotaggio della campagna elettorale di Macron. E così, per timore di farci manovrare, facciamo proprio ciò che più converrebbe a un eventuale nemico: sfiduciamo il sistema, lo sabotiamo dall’interno. In Austria, il Governo si è dimesso e ora si apre una fase di instabilità politica. Gli Usa sono andati avanti due anni a picconare il loro presidente e ancora adesso si baloccano con l’idea dell’impeachment. Nessuna spia, nemmeno la più astuta e spietata, avrebbe potuto ottenere tanto. Date retta, conviene arrendersi.
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