L'Editoriale
Mercoledì 21 Aprile 2021
La scuola «a colori»
e trasporti fermi al palo
Che effetto deve fare per un ragazzo tornare in classe e trovare la metà dei suoi compagni, sapendo che il restante cinquanta per cento rimane nascosto a casa, una voce franta e metallica che ogni tanto rimbomba nell’aula, mentre i volti sono visibili – se la wifi funziona - solo al pc della professoressa? Quali fatiche deve fare un preside per organizzare gruppi di studenti al cinquanta, al sessanta, al 75 per cento? Che efficacia può avere una classe divisa in due aule per rispettare il criterio? Che significa trascorrere una settimana a casa e una in istituto, a turno, come se l’anno scolastico fosse una lunga vacanza sincopata? Com’è possibile accettare un sistema a rotazione che a turno lascia a casa solo una piccola parte di alunni come operai di una catena di montaggio? E a proposito: con che criterio scegliere coloro che saranno in presenza e quelli che si collegheranno da casa? Uno studente del primo gruppo avrà un contatto diretto con l’insegnante, potrà dialogare, instaurerà un feedback comunicativo, alzare la mano, capire meglio, guardare la lavagna.
Il secondo – la minoranza, piccola o grande che sia - è a casa «in remoto», fa meno fatica, può distrarsi, nascondersi, ma non può intereagire con i compagni e con la professoressa. Quanto imparerà? Uno studente è anche «relazione», gruppo, comunità. Altrimenti perché mai il lustro delle superiori, con tutte le sue avventure, i suoi ricordi, gli studi, i voti buoni o cattivi, le amicizie, le ansie, i sussulti dell’adolescenza, ci rimane attaccato alla memoria per tutta la vita come qualcosa di vivido e indelebile, di indimenticabile, come nella «Gita scolastica» di Pupi Avati, come nessun altro periodo della nostra esistenza? Sono le relazioni. Non è necessario essere un esperto di neuroscienze per capirlo.
Eppure questa è la scuola che riapre secondo il decreto che dovrebbe approdare in Consiglio dei ministri, quella che va dal 50 al 75 per cento se è in zona rossa e dal 60 al 100 per cento se è in arancione o gialla. La scuola a colori. La scuola in percentuali, come un sondaggio o un’assemblea. La scuola «flessibile» ripartita come i passeggeri di un treno. Il governatore della Lombardia Fontana dice che gli piange il cuore a sospendere la scuola ma che la colpa è dei trasporti, poiché è noto che la maggior parte dei contagi avviene su autobus e treni.
«Insostenibile la riapertura delle scuole con il 50 per cento dei trasporti. Pretendere che i mezzi abbiano un riempimento del 50 per cento dovendo trasportare gli studenti che dovrebbero rientrare a scuola al 100 per cento è un’equazione abbastanza insostenibile». E allora perché dopo un anno di pandemia non si è provveduto? Il ministro delle Infrastrutture Patrizia De Micheli nell’estate scorsa aveva messo a disposizione 400 milioni di euro per le Regioni e 300 milioni per i Comuni. Che fine hanno fatto quelle risorse? Erano troppo poche per ridisegnare la complessa rete di trasporti e raddoppiare i mezzi? Se le classi vengono dimezzate con le attuali misure che prevedono il dimezzamento dei passeggeri allora per evitarlo bastava moltiplicare per due i mezzi di trasporto. Perché non sono state distratte altre risorse, magari ricorrendo al trasporto privato, fermo da mesi perché le gite scolastiche o i tour a Venezia non si fanno e ci sono intere colonne di autobus fermi al parcheggio in attesa di ripartire? Si potrebbero anche dilazionare gli ingressi, ma la soluzione è molto più complessa di quel che sembra. La scuola dovrebbe essere aperta sempre, ha commentato ieri il governatore. Ma forse non dovevamo aspettare la fine della pandemia per ospitare finalmente tutti.
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