L'Editoriale
Venerdì 08 Novembre 2019
La scorta a Segre
Le parole pesano
Non le è bastata la sua terribile storia di deportata ad Auschwitz a 13 anni per proteggerla dall’odio e dalle minacce (200 al giorno). Anzi, quella storia per taluni è diventata motivo di insulto, espresso sui social o nei blog. In seguito a questa violenza verbale che le è piovuta addosso e a uno striscione di Forza Nuova (con la scritta «Sala ordina. L’antifa agisce. Il popolo subisce») esposto l’altro giorno a Milano all’esterno di un teatro dove era stata invitata a parlare, Liliana Segre, ebrea italiana di 89 anni, nominata senatrice a vita dal presidente Mattarella, da giovedì 7 novembre vive scortata da due carabinieri.
Il provvedimento è stato disposto durante il Comitato per la sicurezza e l’ordine pubblico presieduto dal prefetto di Milano (dove Segre risiede) Renato Saccone. È inquietante pensare che questa decisione abbia all’origine l’appartenenza al popolo ebraico. Ma non solo, come vedremo. Nel 2019 l’Osservatorio antisemitismo ha ricevuto 190 segnalazioni di episodi in Italia, numero in crescita rispetto al 2018. Il 70% di questi fatti ha viaggiato on line, da estrema destra e estrema sinistra ma anche da parte di persone non schierabili politicamente, mentre si registrano due casi di violenze fisiche: un signore schiaffeggiato e una donna presa a sputi.
Ferme le posizioni dal mondo ebraico a proposito della scorta assegnata a Segre. «Che una donna che ha sofferto ed è il simbolo di una storia terribile, debba essere scortata è assolutamente intollerabile» ha detto il presidente della Comunità degli ebrei di origine italiana in Israele, Sergio Della Pergola. «È ora che una voce politica autorevole - ha aggiunto - intervenga e dica basta a tutto questo. Sembra, e non solo in Italia, che si siano rotte le dighe che proteggevano la società civile dall’odio, dal razzismo e dall’antisemitismo che ritenevamo superati». «È una vergogna per l’Italia che una sopravvissuta alla Shoah di 89 anni sia attaccata in questo modo su internet» denuncia invece Efraim Zuroff, direttore del Centro Wiesenthal di Gerusalemme. «È responsabilità del governo fare pressione perché ciò finisca. Ma il problema - ha aggiunto - non sta tanto nell’Italia, quanto nelle reti sociali che dischiudono un diluvio di attacchi personali».
Solidarietà alla senatrice a vita anche dal leader della Lega Matteo Salvini: «Le minacce contro Segre, contro Salvini, contro chiunque sono gravissime. Anche io ne ricevo quotidianamente». Ma quelle a Segre sono aggravate dall’antisemitismo e numericamente maggiori. Nei giorni scorsi ha sollevato polemiche la nascita di una commissione parlamentare di controllo contro razzismo, antisemitismo e «hate speech» (incitamento all’odio) voluta proprio dalla senatrice che è stata contestata. I più critici l’hanno definita «commissione bavaglio» anche se non ha poteri di denuncia né di censura ma solo di studio di fenomeni inaccettabili. Bisognerebbe stare davanti a un’evidenza: negli ultimi tre anni sono triplicate le denunce per violenze a sfondo razziale. Siamo diventati un Paese razzista? No, guai a generalizzare. Però nemmeno sottovalutare fatti che fino a qualche anno fa non accadevano.La situazione è più grave in altri Stati, come la Germania, dove c’è un risveglio di rigurgiti neonazisti. Ma non dobbiamo dimenticare che l’Italia è stata la patria della stampella del nazismo, il fascismo. Dovremmo imparare allora ad affrontare certi fenomeni andando in profondità. La polemica sul caso Balotelli per i «buu» rivolti al calciatore del Brescia a Verona è ruotata intorno all’intensità di quei versi, che anche commentatori istituzionali hanno derubricato a goliardata. Poi si va a vedere chi è il capo degli ultras dell’Hellas Verona e si scopre che è tale Luca Castellini, da 20 anni militante di Forza Nuova. Durante la festa della curva sud scaligera, nel 2017, sfoggia la sua ammirazione per il Fuhrer. «Chi ha permesso questa serata, chi ha fatto da garante ha un nome: Adolf Hitler». E subito dopo la folla canta saltellando: «Adolf Hitler è mio amico». Ai giornalisti che gli chiederanno conto di questa oscenità, Castellini dirà che è «una goliardata», parola magica per sdoganare ogni nefandezza. E invece è apologia di nazismo, punibile per legge.
Basta: bisogna tornare a dare un peso alle parole, non sono tutte uguali e non producono gli stessi effetti. La scorta a Liliana Segre è lì a ricordarcelo.
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