La scena ripresa
da Grillo e Renzi

Parte, il governo giallo-rosso, e si può cominciare a trarre qualche bilancio politico di quel che è accaduto in questa turbolenta estate che ci sta lasciando. Il primo bilancio riguarda Giuseppe Conte che, come ha scritto il New York Times, da personaggio irrilevante è diventato insostituibile. Tant’è che guida un governo la cui maggioranza è opposta a quella che lo ha sostenuto fino a luglio scorso. Guidava un governo con la Lega molto spostato a destra, da adesso presiederà un governo di sinistra, con dentro anche gli ex comunisti di Leu. Conte lo fa con la stessa levità con cui sistema il fazzoletto nel taschino. Ogni giorno avrà la sua pena ma per l’intanto la sua permanenza sulla poltronissima di Palazzo Chigi riceve l’applauso dell’Europa, dei mercati, di Trump, probabilmente anche di Mattarella. Inoltre a palazzo Conte rimane da solo, senza più vice a controllarlo: grazie all’incaponimento di Di Maio che fino all’ultimo ha provato a mantenersi la vice-poltrona, Conte ha ottenuto – via Franceschini – di azzerare il fastidioso corollario al suo potere.

Va da sé invece che chi ha dovuto lasciare quella poltrona di vicepresidente del Consiglio, è oggi pesantemente indebolito. Di Maio da Palazzo Chigi, quando Conte era appena un amministratore di condominio, si poneva come il punto più alto del Movimento. Adesso quella posizione gli è preclusa, e anzi passata a Conte, e la presa sul popolo pentastellato sta venendo meno: Di Maio, come Casaleggio, non voleva l’alleanza col Pd e l’ha subìta, ha perso potere ministeriale e ora da ministro degli Esteri si vedrà sottrarre la scena dal premier, dal ministro dell’Economia, persino dal presidente della Repubblica. Oltretutto senza alcuna competenza e senza parlare uno straccio di lingua straniera, Di Maio non può opporre neanche il proprio prestigio personale per ritagliarsi un ruolo. Si ripete insomma il caso Alfano che gli ambasciatori portavano in giro nel mondo per farglielo conoscere.

Se Di Maio e Casaleggio si indeboliscono, Grillo si riprende il Movimento. È lui che ha spinto per l’alleanza del Pd con una giravolta clamorosa, degna di quella – parallela - di Matteo Renzi. Entrambi, capitombolando spregiudicatamente una linea tenuta per anni, si sono ripresi la scena. Renzi, appunto. È stato lui, con la sua proposta di aprire all’alleanza all’arcinemico M5S, a far fallire l’offensiva di Salvini per ottenere subito le elezioni. Ora il senatore di Firenze, controllando la maggioranza dei gruppi parlamentari del Pd, può in ogni momento decidere che il governo non va più bene: in sostanza ha le chiavi di Palazzo Chigi. Zingaretti, che voleva come Salvini le elezioni per depurare i gruppi parlamentari troppo renziani, ha dapprima subìto la mossa del cavallo del suo predecessore, poi ha cercato di impossessarsene e alla fine ha portato a casa la metà dei ministri del nuovo governo, l’azzeramento del vicepremier grillino e una certa «discontinuità»: il segretario del Pd rischia grosso, ma nel frattempo si è rafforzato.

Quanto a Salvini, è chiaro che ha sbagliato tattica. Ha buttato giù un governo (dove si muoveva come un padrone) per farsene uno tutto suo sull’onda irresistibile di una tornata elettorale trionfale. Si ritrova invece all’opposizione dei suoi nemici che si sono alleati contro di lui. Oltretutto, quando Matteo ha capito l’errore, ha inseguito i Cinque Stelle per provare a ricominciare ma, come si dice, la toppa si è rivelata peggio del buco. Però attenzione: tutti quelli che si rallegrano della sconfitta di Salvini non considerano due cose: la prima è che la Lega è ancora di gran lunga il primo partito italiano e che la sua vittoria è solo rimandata. La seconda è che l’incompatibilità tra Pd e M5S, oggi soffocata sotto le poltrone ministeriali, presto riesploderà fornendo al capo leghista molta materia per la sua campagna elettorale.

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