La saga dei 5 Stelle finisce in tribunale

ITALIA. Per paradosso, proprio nel giorno in cui Beppe Grillo, a bordo di un carro funebre nel giardino della sua villa, decreta che la sua creatura, il Movimento Cinque Stelle «è morto», i sondaggi ci dicono che il medesimo movimento, divenuto contiano, addirittura cresce un pochino nelle simpatie dell’elettorato: +0,5%.

Considerando gli sfracelli delle ultime elezioni regionali, non sarà granché ma è pur sempre un flebile segno di vita spedito all’indirizzo di Beppe Grillo, furioso per essere stato messo fuori gioco (e senza stipendio). Il quale ha sceneggiato la discutibile performance del carro funebre per lanciare all’arcinemico Giuseppe Conte un chiaro messaggio scissionistico e di prossima battaglia legale sul simbolo. Deciso che il «suo» movimento, quello fondato con Gianroberto Casaleggio, non c’è più perché «i suoi valori sono stati traditi», annuncia che ne verrà fuori un altro dalle sue ceneri «compostabili». Un’altra formazione, beninteso, integralmente grillina.

Conte, appunto, l’«avvocato del popolo» che può vantare una laurea, una carriera professionale e soprattutto di essere stato presidente del Consiglio di ben due governi: ormai entrato nell’establishment nazionale, con questo aplomb da statista può trascinare ciò che resta del M5S verso uno spazio politico a sinistra del Pd

Quanto a chi vuol seguire Giuseppe Conte si arrangi, si trovi un simbolo nuovo e corra la sua avventura al seguito del «mago di Oz», il nomignolo che sprezzantemente il comico usa nei confronti del suo odiato successore, quell’avvocato pugliese che si è impadronito dei Cinque Stelle man mano che perdeva voti, che la paura fra i parlamentari dilagava proporzionalmente all’emorragia di voti e, dilagando, li obbligava a stringersi all’unica persona che sembra in grado di dar loro un futuro. Conte, appunto, l’«avvocato del popolo» che può vantare una laurea, una carriera professionale e soprattutto di essere stato presidente del Consiglio di ben due governi: ormai entrato nell’establishment nazionale, con questo aplomb da statista può trascinare ciò che resta del M5S verso uno spazio politico a sinistra del Pd.

La querelle tra Conte e Grillo

«Un partitino progressista» lo definisce Grillo che con esso non vuol avere nulla a che fare e che dunque si prepara all’unica conclusione possibile: la battaglia in tribunale sull’uso del simbolo. Presto si aprirà la saga avvocatesca per decidere chi potrà legittimamente esibire le «cinque stelle» nelle schede elettorali e cercare di attirare almeno una parte dei tanti, tantissimi voti raccolti negli anni d’oro e poi persi in gran parte per strada. Che poi nasca davvero un nuovo movimento «grillino» è cosa che sapremo più in là, magari non succederà, di sicuro Grillo farà ogni possibile azione di disturbo nei confronti di Conte cercando di ostacolare la sua azione politica. Conte ha risposto alle invettive proclamando che la sua «comunità non si fa calpestare» e che anzi procede spedita alla nuova votazione del 5 dicembre che proprio Grillo ha imposto facendo leva sul fatto che alla prima votazione - quella che ha abolito la figura del Garante, il tetto di due mandati, il mandato di Conte - ha partecipato meno della metà degli iscritti. E qui è scattata la prima forma di protesta: «Esigo che si rivoti!» ha chiesto Grillo, salvo poi consigliare a chi crede ancora in lui di non andare al seggio, anzi di «andare a funghi», così da far fallire un’altra volta la consultazione.

Il simbolo e i voti

Senza andare troppo avanti in questa faccenda poco interessante, è chiaro che siamo alla guerriglia che andrà avanti per chissà quanto tempo. Se Conte perderà l’uso del simbolo perderà anche dei voti, e questo lo indebolirà nella continua gara che ha ingaggiato col Pd. Se invece il tribunale darà torto a Grillo e ai suo fedelissimi, Conte potrà definitivamente proclamarsi secondo «padre-padrone» del M5S dopo essersi liberato dell’ingombrante fondatore.

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