La regina Elisabetta, vera guida di un popolo

Sorridente, con un abito color pastello celeste, una punta di lavanda e profili crema, cappello in tinta, Sua Maestà la regina Elisabetta si affaccia al balcone di Buckingham Palace per assistere alla parata militare che celebra i suoi 70 anni di regno. Nessuno mai come lei nella storia della Corona britannica. La regina Vittoria, la sovrana che ha già dato il nome eponimo a un’epoca, si è fermata a 64.

Chissà, forse gli storici chiameranno età elisabettiana l’epoca che va dal 1952 ai nostri giorni, fino a chissà quando. Accanto a lei, come sempre, i membri della famiglia reale, che hanno fatto versare fiumi di inchiostro ai rotocalchi di tutto il mondo con i loro affetti, bizze, amori e tradimenti. Ma la regina non è mai stata scalfita da alcuno scandalo personale, ha attraversato 70 anni di storia e 14 premier (da Winston Spencer Churchill a Boris Johnson) senza mai venir meno all’affetto dei suoi sudditi, incarnando quel «national spirit» che l’ha resa grande e grandiosa.

Preceduta all’alba dalla scenografica proiezione di ologrammi di immagini storiche della regina sulle pietre del sito primitivo di Stonehenge, da una pioggia di decorazioni e onorificenze reali e da un’edizione speciale di «Trooping the Colour», la grande parata militare (quella che si tiene per il compleanno di sua maestà, con la sfilata dei suoi granatieri reali dai celeberrimi colbacchi di pelo d’orso), è parsa incarnare magnificamente il suo ruolo. «United and resolute», dicono gli inglesi, uniti e risoluti, le qualità esattamente richieste a tutti i sudditi nel discorso del 5 aprile del 2020 conosciuto come «the coronavirus speech», quello in cui la regina ha dato coraggio a una nazione intera precipitata nello sconforto per la pandemia del Covid. Lo aveva fatto col suo solito stile, semplice e pragmatico. Se c’è una ragione per cui Elisabetta è tanto amata dagli inglesi è proprio questa. Non è soltanto lo stile del ruolo, la pacatezza con cui ha affrontato qualunque tragedia, anche quella di Lady Diana, la nobiltà con cui ha ricevuto i capi di Stato di tutto il mondo e ricevuto i premier della nazione, ma soprattutto quello spirito pragmatico, tipico degli inglesi, che ha dimostrato anche quando ha servito come meccanico durante la Seconda guerra mondiale. Gli attributi della «self discipline» e della «quiet good humored resolve», ovvero l’autodisciplina e la determinazione animata dal senso dell’umorismo e il «sentire comune», aveva detto in quel discorso, sono ancora ciò che caratterizza questo Paese. Qualità che noi italiani un po’ invidiamo ai sudditi di Sua Maestà. A tutto questo va aggiunta una fede molto profonda che l’ha aiutata anche a superare la più grande tragedia personale della sua vita: la recente morte del marito, il principe Filippo.

Con solenne umiltà e reale discrezione Elisabetta ha saputo traghettare lungo 70 anni la monarchia britannica, impresa per nulla scontata. Gli inglesi l’hanno sempre considerata un faro nelle notti più buie, nelle crisi economiche più devastanti, nelle guerre sociali che hanno tormentato l’Irlanda del Nord, negli scandali familiari di ogni genere, nella guerra delle Falkland, nella crisi attraversata dagli scioperi dei minatori che ha cancellato la grandezza di un ex impero commerciale e industriale. «Così come allora, noi sappiamo nel profondo che andare avanti e resistere è la cosa giusta da fare, giorni migliori devono ancora arrivare». Il suo incoraggiamento al popolo britannico è sempre inserito in una visione, in una prospettiva storica. Dio salvi la regina, è il caso di dirlo.

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