L'Editoriale
Sabato 14 Ottobre 2023
La reazione di Israele e i destini del mondo
MONDO. Nel momento in cui scriviamo, truppe e mezzi di Israele sono già entrati nell’area di Gaza City. Non è ancora l’operazione militare vera e propria, solo raid mirati per cercare gli ostaggi e fare opera di ricognizione.
Ma è l’inizio dell’attacco via terra, su cui ogni previsione deve essere sospesa. L’attacco di Hamas ha colto impreparate sia l’intelligence sia le forze armate dello Stato ebraico, e quindi ora è lecito chiedersi quali trappole possa nascondere un’area sovraffollata come quella di Gaza. In tutta la Striscia la densità abitativa è di 4mila abitanti per chilometro quadrato, e diventa ancora più alta a Gaza City. In una tale situazione, quindi, parlare di bombe intelligenti o di colpi di precisione non ha alcun senso: se i miliziani di Hamas daranno battaglia, la strage dei civili sarà certa, nonostante migliaia di persone abbiano cercato di rifugiarsi più a Sud, prese tra l’ultimatum di Israele e le minacce di Hamas.
Strage chiama strage, dunque. Ai ragazzi, ai bambini, ai civili indifesi di Israele si sono già aggiunti, al settimo giorno di guerra, quasi 2mila palestinesi, per metà donne e bambini. È sempre stato così: nell’operazione Piombo Fuso del 2009 morirono 13 israeliani e 500 palestinesi, in quella Margine di protezione del 2014, 74 israeliani (66 militari) e 2.310 palestinesi (per il 70% civili), la potenza di fuoco fa comunque la differenza. Ma l’orrore non è mai stato profondo come in questi giorni, con un bilancio che rischia, combattendo per le strade di Gaza, di diventare allucinante.
Ed è proprio su questo che conta Hamas. Per il Governo di Israele mettere in atto una reazione «quale non si è mai vista» (parole del premier israeliano Benjamin Netanyahu) può essere un dovere rispetto ai sentimenti dei cittadini e, anche, un tentativo politico di rimontare il fallimento iniziale. Ma per Israele può diventare una tagliola micidiale. Anthony Blinken, il segretario di Stato Usa, è volato in Israele per portare solidarietà e aiuto ma si è subito messo a viaggiare in Medio Oriente allo scopo di evitare un allargamento del conflitto, che diventerebbe assai probabile se da Gaza arrivassero le immagini di un massacro indiscriminato. Per questo ha detto a Netanyahu che nel difendersi «conta anche il come». Per questo ha voluto parlare con Abu Mazen, il leader dei palestinesi di Cisgiordania, e con il re di Giordania, prima di volare in Qatar.
Non è un’impresa facile. L’Iran, spettatore interessato e forse complice, rigetta su Israele «usurpatore» la responsabilità degli eventi e minaccia di intervenire. Mohammed bin Salman, dall’Arabia Saudita che stava raggiungendo un accordo storico con Israele, contatta ogni leader possibile per evitare un disastro che infiammerebbe l’intera regione. Sul confine tra Israele e il Libano degli Hezbollah già volano i missili. Gerusalemme ribolle, nelle città palestinesi di Nablus e Jenin interi quartieri sono sull’orlo della sollevazione. E l’emiro Tamim bin Hamad al Thani, dal Qatar, intima: fermate i bombardamenti su Gaza o tagliamo il gas a tutti. In Europa già si agita lo spettro di una nuova crisi energetica che avrebbe esiti assai pesanti su economie più che affaticate e potrebbe persino orientare le sorti dell’Ucraina. Gli Usa temono che vada in fumo la rete tessuta con gli Accordi di Abramo per il disgelo tra i Paesi arabi e lo Stato ebraico.
In queste ore terribili il mondo chiede agli israeliani un enorme supplemento di lucidità e di calma. Nessuno può pretendere che lo facciano per noi. Però possono farlo per se stessi e per i tanti palestinesi che, come i loro ragazzi, sono vittime di Hamas.
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