L'Editoriale
Mercoledì 26 Febbraio 2020
La Quaresima
in tempi speciali
In questi giorni, per le note ragioni, ci troviamo a vivere un Mercoledì delle Ceneri e un inizio di Quaresima privi di momenti rituali, dove tutt’al più è possibile partecipare come spettatori a qualche trasmissione televisiva che propone la liturgia cattolica-romana del giorno. Eppure questo impedimento può paradossalmente mutarsi in un’opportunità inaspettata, quella di riflettere a fondo, nel silenzio della coscienza, sulla parola di Dio che dà l’impronta al senso di questa giornata con cui si apre il cammino quaresimale.
Sostiamo perciò sul testo di Gioele 2,12-18, proposto come prima lettura della celebrazione eucaristica. Ecco le parole del profeta: «Or dunque – oracolo del Signore –,/ritornate a me con tutto il cuore,/con digiuni, con pianti e lamenti./Laceratevi il cuore e non le vesti,/ritornate al Signore, vostro Dio,/perché egli è misericordioso e pietoso,/lento all’ira, di grande amore,/pronto a ravvedersi riguardo al male»./Chi sa che non cambi e si ravveda/e lasci dietro a sé una benedizione?/Offerta e libagione per il Signore, vostro Dio./Suonate il corno in Sion,/proclamate un solenne digiuno,/convocate una riunione sacra./Radunate il popolo,/indite un’assemblea solenne,/chiamate i vecchi,/riunite i fanciulli, i bambini lattanti;/esca lo sposo dalla sua camera/e la sposa dal suo talamo./Tra il vestibolo e l’altare piangano/i sacerdoti, ministri del Signore, e dicano:/«Perdona, Signore, al tuo popolo/e non esporre la tua eredità al ludibrio/e alla derisione delle genti»./Perché si dovrebbe dire fra i popoli:/«Dov’è il loro Dio?»./Il Signore si mostra geloso per la sua terra/e si muove a compassione del suo popolo.
Quando Gioele pronuncia queste parole, si è nel contesto di una calamità nazionale collegata alla devastazione della campagna ad opera di un’invasione di cavallette, il profeta chiede di rimuovere la causa della piaga delle cavallette. Per lui non è tanto un castigo divino, quanto il sintomo di un male più grave: la lontananza del cuore umano da Dio. La rimozione di questo male non si può ottenere per via esclusivamente rituale, con aggiustamenti di facciata, ma richiede una vera conversione, cui si giunge coltivando un autentico spirito di penitenza. Si tratta di tornare al Signore con cuore sincero e docile!
D’altra parte la consapevolezza della propria colpa non può limitarsi ad un moto interiore, ma deve quasi trapassare nei corpi, nei gesti, nelle parole. Ecco allora i digiuni, i pianti, i lamenti, che vedono impegnati i sacerdoti e l’intero popolo di Dio radunato nell’atrio del tempio.
Il digiuno raccomandato è una pratica di astinenza dal cibo e dalle bevande, dai piaceri, dalle parole inutili, che, attraverso la mortificazione del corpo giunge fino all’anima, fino al desiderio. È solo così che l’intimo dell’uomo raggiunge la vera umiltà e la vittoria sull’orgoglio, che è radice del peccato. Il profeta Gioele è infatti consapevole della possibile ambiguità, tra gesti e riti esteriori e l’atteggiamento interiore; per questo bisogna lacerare il cuore e non le vesti, cioè puntare su una trasformazione intima della persona.
Tutto ciò è motivato dal fatto che la fede fa conoscere un Dio che si pente ancor prima che l’uomo si sia pentito. Ecco allora il richiamo al celebre testo della rivelazione dei tredici nomi della misericordia divina al Sinai, dopo il peccato del vitello d’oro (vedi Esodo 34,5-7).
L’appello alla misericordia divina, come alla qualità essenziale al Signore che si è rivelato ad Israele, non è però la rivendicazione di un diritto al perdono; questo non si può pretendere, ma solo accogliere con gratitudine ed umiltà. È quanto il profeta e il popolo penitente sperano e si augurano con la domanda: «Chi sa che non cambi e si ravveda e lasci dietro a sé una benedizione?». L’interrogativo, espresso con linguaggio antropomorfico, non espone affatto un dubbio, ma un fiducioso affidamento alla volontà di Dio, una certezza nella vittoria del suo amore sul peccato del popolo. La benedizione che scaturirà dal perdono è qualcosa di concreto e si manifesta nella prosperità della terra, che rende possibile una vita dignitosa e anche una ripresa del culto, con le offerte, i sacrifici.
Dopo questo appello alla conversione e alla fiducia nel perdono divino, il profeta sollecita i responsabili della comunità ad indire una convocazione della comunità, convocazione che prevede tre momenti: annuncio della celebrazione penitenziale, solenne proclamazione del giorno di digiuno, e infine il riunirsi liturgico della comunità, in cui tutti sono coinvolti, senza distinzione di età, di sesso, di stato di vita, di compiti e ruoli. Si leva così una preghiera nello spazio sacro del tempio, in cui ci si rivolge al Signore, Yhwh Dio, invocando il suo perdono e facendo leva sul suo amore geloso, cioè appassionato per Israele. È un amore che non tollera ingiustizia ed idolatria, ma che non si rassegna neppure a vedere il popolo prostrato dalla miseria e dalla disperazione. È perciò un amore geloso che soccorre e ristabilisce la dignità del popolo dell’alleanza agli occhi di tutte le genti.
Con il Mercoledì delle Ceneri si apre anche oggi, per la Chiesa, un tempo favorevole per riscoprire questo amore geloso di un Dio che, in Cristo, per farci suoi, non ha esitato ad affrontare la passione e la morte. E se in questi giorni, purtroppo, non abbiamo l’aiuto prezioso della comunità che si raduna visibilmente a celebrare la sua fede, non viene comunque meno la possibilità di ritrovare i sentieri di un dialogo più intimo con Dio, accompagnati dalla sua parola. E quando la comunità nuovamente potrà incontrarsi, sarà davvero un radunarsi nel Signore.
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