La povertà diminuisce nel mondo che cambia

MONDO. La povertà nel mondo non è mai uguale a se stessa.

Muta radicalmente la sua collocazione geografica, con conseguenze non di poco conto per noi Europei; inoltre cambiano in parte le sue cause e quindi le possibili soluzioni. Nel 1973 fu coniata l’espressione «povertà assoluta» per descrivere «una condizione di vita così degradante da essere un insulto alla dignità umana, e tuttavia una condizione di vita così diffusa da riguardare circa il 40% dei Paesi in via di sviluppo». Parola di Robert McNamara, presidente della Banca mondiale dal 1968 al 1981, e prima di allora Segretario alla Difesa degli Stati Uniti con i Presidenti John F. Kennedy e Lyndon B. Johnson.

La povertà diminuisce

Rispetto alla fine dello scorso secolo, da questo punto di vista, la situazione è migliorata a livello globale. La povertà estrema, identificata dall’Onu come quella delle persone che vivono con meno di 2,15 dollari USA al giorno, era una condizione che accomunava quasi il 40% della popolazione mondiale nel 1990 mentre oggi riguarda l’8,5% del totale. In altri termini, vuol dire che nel 1990 c’erano poco più di 2 miliardi di persone estremamente povere, mentre ora – con una popolazione complessiva aumentata nel frattempo di quasi 3 miliardi di unità, arrivando a superare gli 8 miliardi – le persone estremamente povere sono poco meno di 700 milioni.

La diffusione del capitalismo in Asia

Un balzo in avanti di proporzioni simili ha essenzialmente una spiegazione: la diffusione del capitalismo in Asia orientale (a partire da Cina e Indonesia), e in subordine in quella meridionale (India). I numeri assoluti, ancora una volta, sono impressionanti: gli ultra-poveri nell’Asia orientale e del Pacifico erano poco più di un miliardo nel 1990, oggi sono 18 milioni. «Con un tasso di crescita pro-capite che ha superato il 9% all’anno – si legge in una recente analisi della Banca mondiale – la Cina, in particolare, è responsabile per questo progresso. Nel 2014, la povertà estrema in Cina era stimata sotto il 2%, lasciando a Pechino poco margine di ulteriore riduzione».

La diminuzione della povertà «rallenta»

Il progresso che abbiamo alle spalle non è avvenuto a velocità costante. Sempre secondo la Banca mondiale, nel decennio 1994-2004, la quota di popolazione in povertà estrema si è ridotta da un terzo a un quarto del totale. Un’ulteriore accelerazione si è registrata nel decennio 2004-2014, con la povertà estrema più che dimezzata fino a riguardare «solo» l’11% della popolazione totale. Nel decennio 2014-2024, la povertà ha continuato a scendere ma a un ritmo molto inferiore, facendo segnare un calo di 2,5 punti percentuali. Se l’andamento rimanesse quello dell’ultima decade, nel 2030 il 7,3% della popolazione mondiale sarebbe in povertà assoluta, più del doppio del 3% che l’Onu si è data come obiettivo.

Le cause di povertà

A spiegare la frenata in corso c’è la sovrapposizione di numerose crisi in contemporanea che finiscono per alimentarsi a vicenda. Una «policrisi», per citare lo storico Adam Tooze. La pandemia da Covid-19, da sola, ha fatto crescere di 73 milioni il numero di persone in povertà assoluta. L’incremento del debito pubblico ha ridotto, in molti Paesi, lo spazio fiscale per sostenere salute, educazione e ogni tipo di infrastrutture. I conflitti violenti accrescono l’incertezza e distruggono le attività economiche. Infine, sul potenziale di crescita pesano anche gli eventi climatici estremi, spiegano gli analisti della Banca mondiale. Lì dove tutti questi fenomeni sono più pronunciati, la povertà arretra con maggiore lentezza. Nell’Africa sub-sahariana, dal 1990 al 2022 il Pil pro-capite è aumentato in media dello 0,7% all’anno, a fronte di una media più che doppia (1,6%) dell’intero pianeta. Così oggi il 67,1% degli ultra-poveri del mondo, 464 milioni di persone, è concentrato proprio nell’Africa sub-sahariana.

Combattere la povertà rimane una priorità

L’urgenza di affrontare tale sfida rimane intatta nonostante il calo complessivo della povertà globale descritto finora. È una priorità innanzitutto dal punto di vista etico, visto che al di là della soglia convenzionale dei 2,15 dollari al giorno, «povertà estrema» significa spesso mancanza di elettricità, servizi igienico-sanitari e istruzione. Inoltre, come spiega Adam Tooze, «la povertà assoluta non è più una condizione generale del pianeta. Adesso si concentra in una “cintura” di Paesi che attraversa l’Africa occidentale, il Sahel, l’Africa centrale e quella orientale, e si estende fino al Corno d’Africa. In questa vasta regione, una popolazione in rapida crescita che presto supererà il mezzo miliardo, fatica a sopravvivere in condizioni ambientali sempre più dure e imprevedibili, più spesso ostacolata che non aiutata dai propri governi che non riescono a fornire nemmeno infrastrutture e servizi di base». Una situazione economicamente, socialmente e demograficamente esplosiva che, alla luce delle sue coordinate geografiche, è nell’interesse specifico degli Europei contribuire a disinnescare.

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