La politica si è scordata la cura della sanità

È stata definita la «cenerentola» della campagna elettorale: è la sanità nel nostro Paese. Eppure alla parata per la festa della Repubblica del 2 giugno, alla presenza delle più alte cariche dello Stato, sfilavano per la prima volta i nostri sanitari. Celebrati come degli eroi, per l’impegno profuso nel contrastare le prime ondate della pandemia e per il sacrificio della vita di molti di loro. Ora, che siamo tornati alla «normalità», anche se i contagi da Covid sono in aumento come le vittime, ci si è già dimenticati di loro?

Come mai molti se ne stanno andando dal Sistema sanitario nazionale? Solo perché guadagnano meno della media europea? C’è un problema nei pronto soccorso per il sovraffollamento, per la carenza del personale e per i turni massacranti. C’è poi la questione del pareggio di bilancio che porta ai tagli. L’ospedale è una «azienda» e va gestita con criteri economici. Il pronto soccorso e la pediatria sono tra i reparti più costosi, ma anche quelli che rispondono all’urgenza di salvare una vita o farla crescere. Su questo non si può risparmiare. Si dice che «mancano le risorse», ma è anche vero che l’Italia spende solo l’8,7% del Pil per la sanità, di cui 6,4% spesa pubblica e 2,3% spesa privata. La Spagna spende il 9%; Malta il 9,4% mentre Francia e Germania spendono rispettivamente 11,2% e 11,7%. Più chiara, per farsi un’idea, è la spesa procapite: nel 2019 in Italia è stata di 2.473 euro; in Francia 3.644 e in Germania 4.504 euro.

L’indagine Ocse ha messo in risalto che questa differenza abissale si è creata negli anni della crisi dal 2008 al 2013 quando, diversamente dagli altri paesi europei, da noi si fecero tagli alla spesa sanitaria. Ora il recupero è lento visto anche i costi della pandemia. Dato confortante l’Italia rimane il quarto paese al mondo per attesa di vita: 80 anni per gli uomini e 84 per le donne. Tutto merito della dieta mediterranea? Probabilmente anche di come vengono curate le persone nel nostro sistema sanitario. Non dimentichiamo che la sanità è fatta di persone: da una parte l’ammalato con i suoi cari e dall’altra il personale sanitario che se ne prende cura e che lo scopo di una buona sanità è la salute. Un diritto sancito dalla nostra Costituzione, ma che risente molto delle condizioni sociali di ciascuno e del suo nucleo famigliare. Sono infatti le persone disagiate, senza o con lavoro precario e le famiglie, che rasentano la povertà, che si ammalano di più. Nel 2022 per l’Istat la povertà assoluta in Italia ha raggiunto i massimi storici di circa 5,6 milioni.

Questo aiuta a capire come mai molte persone, soprattutto anziani, non si curano più o si curano male. Si è creato un nuovo popolo di italiani che è composto da circa 15 milioni di anziani. Andranno a pesare sempre più sul sistema sanitario, è bene muoversi per tempo. Ma per adesso su di loro non c’è in atto una riflessione culturale e men che meno un pensiero politico. Si dice prosaicamente che «gli anziani sono una risorsa», pensando al lavoro che riescono ancora a svolgere, tranne poi diventare un debito quando finiscono nelle Rsa, nelle case di cura o si deve attivare l’assistenza domiciliare. Le Rsa si sono viste negare il credito d’imposta dal governo uscente invece accordato alle industrie. Essere anziani o essere poveri non dovrebbe rappresentare una condanna per nessuno. Ogni disuguaglianza tra cittadini che possono permettersi di pagare le cure o di mantenere i propri cari in strutture costose e chi non può accedere a tutto questo è questione di giustizia sociale.

La salute è ancora un bene da garantire a tutti o in base alle disponibilità economiche di ciascuno? Vogliamo una società della cura o una società dove la sanità è una merce e se hai i soldi puoi avere il prodotto migliore oppure ti devi accontentare di un altro? Il privato puro o for profit, dove tutto è a pagamento, non è certo alla portata della maggioranza degli italiani. Questo non toglie che possa esistere e svolgere un ruolo di sinergia con il pubblico, che deve però poter mantenere la sua capacità di offrire un servizio qualificato e aperto a tutti. Forse andrebbe incoraggiato il sociosanitario convenzionato o no profit. Quelle realtà che svolgono un ruolo di sussidiarietà rispetto al servizio sanitario nazionale e che ne condividono l’ispirazione solidaristica. Mi riferisco ai servizi sanitari svolti da ospedali, istituti e case di cura accreditati, compresi quelli di ispirazione cristiana che storicamente sono nati per l’assistenza ai meno abbienti. Malgrado si parli molto di come la spesa sanitaria sia un investimento piuttosto che un costo, le decisioni politiche prese in passato non sono state in linea con questa visione.

Dietro la sanità c’è un’idea della nostra convivenza civile più o meno solidale e dentro la sanità ci sono persone che per scelta si dedicano al bene degli altri nei momenti più delicati e difficili della loro vita. Questo lavoro, o sarebbe meglio dire questa «vocazione», non può essere «pagata» se non con la riconoscenza generale e l’impegno di chi governa a costruire un sistema sanitario fedele all’idea umanitaria più alta. Speriamo quindi che nel programma del nuovo governo ci sia attenzione per la salute e la cura di tutti i cittadini, che è poi il presupposto di ogni sviluppo e uguaglianza sociale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA