La politica è tattica
Ma fino dove arriva
il prezzo da pagare?

Sul completamento della Tav, la linea Alta Velocità tra Torino e Lione, la tensione nel governo sta salendo troppo. Al punto da far pensare che la schermaglia tra Lega e M5S che serviva a rassicurare i rispettivi elettorati sul sì o il no ai cantieri (anche in vista delle elezioni regionali in Piemonte) stia finendo fuori controllo: molti motivi tattici si intrecciano alla questione della ferrovia e avveleneranno i mesi che ci dividono dalle elezioni europee. Mesi in cui avremo la conferma della recessione economica che ci colpisce, unici in Europa: le previsioni di crescita del Pil vengono tagliate drasticamente in queste ore, il contributo della manovra è giudicato di scarsa rilevanza da tutti gli osservatori (ma non dal presidente del Consiglio: «Il 2019 sarà un anno bellissimo») e il Fmi ci considera portatori di «un rischio di contagio globale».

In questo contesto, bisognerà presto fare una manovra correttiva per non sfondare i conti pubblici. Berlusconi insinua che ci sarà una pesante patrimoniale facendo tornare alla memoria il celebre prelievo forzoso di Amato. Fine della premessa.

Se questo è ciò che ci aspettiamo per i prossimi mesi, qualcuno se ne dovrà assumere la responsabilità politica. Pagandone i relativi prezzi alle Europee di fine maggio quando si deciderà quale è il primo partito italiano. Nessuno, né la Lega né i 5S, vuole mettere la mano nel forno infuocato. Ed è per questa ragione che si stanno moltiplicando i sospetti sulla tentazione di una crisi di governo da aprire anzitempo, prima cioè di maggio (data che tutti consideravano scontata). Sembra essersi riaperto il gioco del cerino: a chi rimarrà in mano per ultimo?

Per aprire una crisi di governo serve un motivo. E i cantieri della Tav sono un motivo del tutto plausibile. La Lega, che deve rispondere al proprio elettorato del Nord che vuole le Grandi opere ed è preoccupata dalla stagnazione economica, può trarre motivo dalla bocciatura della Torino-Lione per prendere le distanze dall’alleato. Allo stesso modo i grillini, che hanno sempre considerato il no alla Tav un loro idolo identitario, possono rompere con i leghisti in nome della «purezza» ideologica mai tanto sbandierata: «A che ci serve un buco per andare a Lione?» ripetono in coro beffardo i pentastellati. «E poi venti miliardi di spesa sono troppi», dicono sbandierando una cifra che non trova alcun riscontro.

Ieri Salvini ha protestato perché il ministro Toninelli ha dato la copia dell’analisi dei costi-benefici dell’opera al governo francese senza che lui, vicepresidente del Consiglio, l’avesse potuta leggere prima. La risposta di Toninelli e Di Maio è stata sprezzante: devi aspettare il tuo turno. Era scontato che quel documento avrebbe bocciato la Tav ma Salvini, leggendola, avrebbe potuto almeno contestarla prima di darla ai francesi. Gli è stato impedito e questo è considerato un affronto.

Nel frattempo la Ue si è fatta viva minacciando, nel caso ci tirassimo indietro dagli accordi internazionali, di richiedere all’Italia i fondi già versati, circa un miliardo. In tempo di recessione non solo dunque verrebbero a mancare investimenti e migliaia di posti di lavoro, ma bisognerebbe anche tirar fuori dal Bilancio più un miliardo di euro. Un bel pasticcio.

Complicazione ulteriore: presto al Senato si voterà sulla richiesta di autorizzazione a procedere contro Salvini. Uno si chiede: cosa c’entra con i treni? Niente. Ma i grillini stanno facendo pesare il proprio voto: e se votassero sì alla richiesta come hanno sempre fatto in passato e come il loro elettorato desidera? I francesi scalpitano, a Bruxelles si sono innervositi. Ma come al solito non hanno considerato che in Italia la tattica politica è tutto. A qualunque (salatissimo) costo.

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