La politica debole
e le armi in Libia

«Crediamo fermamente che non esista una soluzione militare al conflitto in Libia». Lo dicono gli Usa, l’Italia, la Francia e gli Emirati Arabi Uniti, che hanno voluto prendere una posizione comune. Lo dice anche l’Onu, attraverso il suo inviato speciale Ghassan Salamè e, ancor più, con le parole del segretario generale Antonio Guterres. «Ribadisco che non c’è una soluzione militare alla crisi libica», ha detto nelle scorse ore proprio durante una visita in Libia. Sono moniti e auspici che è impossibile non condividere.

Ma siamo sicuri che la realtà sul terreno dica la stessa cosa? E se, al contrario e volendo essere pessimisti, quella militare fosse invece la soluzione più probabile ai guai della Libia? Non mancano certo gli elementi per arrivare a questa brutta conclusione, perché il tratto militare ha segnato per intero la storia della Libia contemporanea. Gheddafi era un soldato e dell’esercito si servì in abbondanza per tenere le tribù allineate sotto il suo potere, durato infatti la bellezza di 42 anni. La sua fine, nel 2011, è stata sancita dalla spedizione militare varata da Regno Unito e Francia. E dal caos libico post-2011 è emerso come uomo forte un altro militare, Khalifa Belqasim Haftar, ex generale delle armate di Gheddafi, poi suo oppositore, quindi agente della Cia, infine leader dell’Esercito nazionale libico sostenuto dal governo di Tobruk (alternativo a quello di Tripoli) e protagonista, con l’«Operazione dignità», dell’offensiva contro i gruppi islamisti.

L’Esercito guidato da Haftar è l’erede di quello che obbediva a Gheddafi, è ben strutturato e ancor meglio rifornito grazie al sostegno dell’Egitto (che a sua volta riceve tanto materiale dalla Russia), agli istruttori e all’intelligence della Francia e ai denari degli Emirati Arabi Uniti. È grazie a tutto questo, cioè all’elemento militare, che Haftar, prima attestato nella «sua» Cirenaica, è poi riuscito a prendersi anche il Fezzan e ora si permette di dare l’assalto a Tripoli (dove ha sede il governo guidato da Fayez Al-Sarraj, l’unico riconosciuto dalle istituzioni internazionali) ogni volta che sente parlare di una qualche «soluzione politica». Nel caso di questi giorni, quella che avrebbe dovuto uscire dalla conferenza nazionale del 14-16 aprile convocata dall’Onu. Francia ed Emirati, direte voi, hanno firmato il comunicato «pacifista» insieme con l’Italia e gli Usa. E comunque appoggiano Haftar? Si, certo. È questo ciò che, alla fin fine, si intende per «politica».

L’elemento militare è importante anche per un’altra ragione. Radunando sotto le stesse insegne gli elementi di gruppi diversi, l’esercito consente a clan, tribù e famiglie di partecipare alla conquista e alla spartizione delle spoglie. Che nel caso della Libia sono i pingui introiti derivanti dalla vendita del petrolio. Lo faceva Gheddafi, alternando favori e punizioni. Si propone di farlo Haftar che, chiaramente, punta a replicarne il ruolo perché è conscio che, in un Paese di piccoli potentati locali, al massimo regionali, la statura nazionale si ottiene più facilmente, appunto, facendosi precedere da un certo numero di veicoli corazzati.

L’Italia ha molto puntato sulla cabina di regia, vera o presunta, che avrebbe dovuto manovrare di concerto con gli Usa. Ovvio, le turbolenze della Libia sono un problema di primo livello per noi, separati da Tripoli solo da uno stretto braccio di mare. La questione dei migranti, gli interessi nel settore petrolifero, la sicurezza rispetto ai movimenti dei terroristi… Abbiamo molti motivi per preoccuparci più di altri. Ma se la comunità internazionale ha davvero a cuore la «soluzione politica», e non militare, delle questioni libiche, dovrà mettere in campo ben più del solito repertorio di moniti e auspici. Decida una buona volta se davvero vuole puntare sul debole Al-Sarraj. Se sì, lo sostenga in ogni modo e lo renda più forte, magari anche fornendo al suo Governo gli strumenti per difendersi dalle pretese di Haftar, che l’Onu considera illegittime. Un contingente di caschi blu non ci starebbe bene, da quelle parti? Altrimenti lasci perdere, si ritiri e lasci fare ad Haftar. Il generale prima o poi a Tripoli ci arriverà, e sarà per restarci. A quel punto non si potrà fare altro che ascoltare l’elenco delle sue condizioni. Ma almeno si sarà evitata l’ennesima inutile guerra.

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