La pietà dell’addio
e il bisogno di risposte

E’ il giorno della pietà. La mano alzata del vescovo Francesco che benedice decine di ceneri e di feretri uno accanto all’altro nel Famedio e nella chiesa di Ognissanti al Cimitero non esprime soltanto - in questa drammatica circostanza - la «pietas cristiana» verso i defunti, la misericordia di Dio verso le anime chiamate al Suo cospetto, ma anche il commosso, profondo e rispettoso omaggio di una comunità ferita nei suoi sentimenti più intimi e radicati. Non parla, mons. Beschi, prega, ma la commozione che traspare dal suo volto vale più di mille parole. Dentro ognuno di quei feretri ci sono i resti mortali di un uomo o di una donna, compagni di viaggio della nostra vita, storie uniche e irripetibili dentro la frenetica storia del mondo, dentro il nostro cuore, dove resteranno per sempre.

Lo dice anche il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, nella lettera con cui ha voluto onorare il nostro giornale, e a cui rivolgiamo il grazie più sincero per la grande attenzione che nelle ultime settimane ha riservato alla nostra martoriata terra bergamasca e per le scelte fatte fin dall’inizio per cercare di arginare quella che lui stesso definisce «la prova più difficile dal dopoguerra». «Non freddi numeri - scrive -, quelle che piangiamo sono persone con un nome, un cognome, una storia. Sono storie di famiglie che perdono gli affetti più cari».

E se a loro siamo costretti a negare persino l’ultimo saluto al campo santo, togliendo anche l’ultimo frammento di dignità di fronte alla sfrontatezza della morte, non possiamo negare una ricostruzione vera di come sì è giunti a un dramma collettivo di queste proporzioni. Che qualcosa non abbia funzionato – nell’ospedale di Alzano prima, fino alla mancata realizzazione della «zona rossa» tra Alzano e Nembro poi - è sotto gli occhi di tutti, ed è giusto che qualcuno spieghi a tutte le famiglie che hanno perso un loro caro (in alcuni casi anche più di uno) perché è successo. Certo, c’è un’ampia responsabilità collettiva, compresa quella di chi si è messo in coda agli impianti di sci, a far shopping per le vie del centro o a consumare un apericena con gli amici. C’è un’ampia responsabilità collettiva che ha attraversato tanti mondi - sociali, economici, politici - ma non può essere che se la responsabilità è di tanti, di tantissimi, alla fine non sia di nessuno.

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