La perdita della Siria, catastrofe per Putin

MONDO. La perdita della Siria è per Vladimir Putin una catastrofe geopolitica. Sia in epoca sovietica che in quella contemporanea, la famiglia al Assad è stata il fulcro delle strategie regionali del Cremlino prima col padre Hafiz, addestrato da giovane dalle Forze armate dell’Urss, poi dopo il 2000 col figlio Bashar.

Ma non solo: adesso viene messo in discussione persino lo status della Russia come potenza militare in Medio Oriente, in Africa e nel Mediterraneo. Sì, perché le basi della Marina a Tartus e dell’Aviazione a Khmeimim, teoricamente prese in affitto fino al 2066, sono state utilizzate per anni come punto di passaggio obbligato per i mercenari impiegati in Centrafrica e nel Sahel. E Tartus serviva anche come punto di appoggio per la Marina in navigazione nel mar Mediterraneo soprattutto ora che gli stretti - ossia il Bosforo e i Dardanelli - sono chiusi per il conflitto in Ucraina.

L’allarme lanciato l’estate scorsa

È dall’estate scorsa che era stato lanciato l’allarme, inascoltato dal potere moscovita, che in Siria la situazione poteva diventare all’improvviso incontrollabile. E così è stato. In questi ultimi drammatici giorni Vladimir Putin ha tentato di guadagnare tempo con la diplomazia internazionale e di fare accordi sul terreno con le varie fazioni presenti in Siria. Impossibilitata a inviare in soccorso ad Assad proprie truppe di terra, Mosca ha usato invano l’aviazione per rallentare l’avanzata dei ribelli verso Damasco.

La ritirata russa

Ora è venuto il tempo dell’evacuazione. In totale i russi avrebbero circa 7.500 militari in Siria. Come scrivono i blogger pro Cremlino, i ribelli sono a 30 chilometri da Khmeimim e a 80 da Tartus. Mosca ha anche una decina di punti di osservazione in giro per il Paese arabo e, al momento, non si conosce la sorte degli uomini lì impiegati. Portare in salvo le navi presenti a Tartus sarà più semplice rispetto a quanto si dovrà fare con gli aerei. Esse ritorneranno in Russia nei porti del Baltico o dell’Artico. Per i velivoli, invece, probabilmente servirà un accordo di sorvolo con la Turchia o l’Iraq. È dal 1971 che Mosca usufruisce della base di Tartus, che - per lunghi anni dopo il 1991 - non venne utilizzata. Il suo ammodernamento avvenne nel 2012, l’anno dopo lo scoppio delle «Primavere arabe» e il ritorno al potere di Putin, che ha mantenuto in piedi il regime di Bashar al Assad dopo il 2015. Nella strategia di Mosca la base di Tartus era essenziale per controbilanciare la presenza delle portaerei Usa nel Mediterraneo. Quella aerea di Khmeimim è stata inaugurata nel 2015 nel quadro di un accordo per la lotta contro lo Stato islamico. Qui sono dislocati oggi decine di caccia ultramoderni e bombardieri.

Tramonto del Cremlino in Medio Oriente

Questo è, quindi, il tramonto dell’influenza del Cremlino in Medio Oriente, in Africa e nel Mediterraneo? Forse sì, ma mai sottovalutare i russi. Con la caduta di Assad cambia la geopolitica nell’area mediorientale, dove sarà la Turchia a dare le carte. Dalla Russia l’Africa è lontana logisticamente. Lo stesso vale per il Mediterraneo raggiungibile dai russi solo attraverso il passaggio dagli stretti o dopo lunghe circumnavigazioni dell’Europa.

È vero, il Cremlino ha un buon rapporto con il generale libico Haftar, che controlla la Cirenaica. Ma finora non si sono siglati accordi con lui né con possibili partner nel mar Rosso. In conclusione, se Mosca vorrà continuare le sue campagne in Africa ed avere una presenza nel mar Mediterraneo sarà costretta a trovare un qualche approdo per le sue navi militari. Adesso è troppo presto per prevedere cosa succederà. Molto dipenderà dagli eventi bellici in Ucraina.

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