la partita europea
divide la Lega 2.0

Con l’accordo sul «Next Generation Ue» – che ha dato il via libera a 209 miliardi di euro tra prestiti e sussidi a favore dell’Italia – il bilancio Ue, fino ad oggi di dimensioni simili a quello della piccola Danimarca, ha la possibilità di crescere consistentemente con l’emissione di bond garantiti da tutti i Paesi europei e molto attesi dai mercati. Lo scontro a Bruxelles per il conseguimento di tale storico risultato, ha visto da una parte i Paesi che ritengono l’Europa il luogo in cui limitarsi a negoziare nel proprio esclusivo interesse e quelli, capeggiati da Germania, Francia e Italia, che cercano una coincidenza tra interessi nazionali ed europei in vista di una visione politica comune. Con la vittoria di questi ultimi si è aperta una nuova fase che, grazie anche al semestre di presidenza di Angela Merkel, potrà generare inediti scenari sul piano politico. Non la pensa così Matteo Salvini, che ha definito da subito l’accordo «una truffa» e per commentarlo si è presentato in conferenza stampa con il responsabile economico della Lega Alberto Bagnai che, insieme al deputato leghista Claudio Borghi, prospetta da tempo l’uscita dell’Italia dall’Europa.

Poiché la comunicazione politica è oggi guidata da ammiccamenti impliciti e sottotesti metalinguistici, è evidente che presentarsi a commentare l’accordo europeo con al proprio fianco un simbolo dell’antieuropeismo equivale a sottendere che l’attuale linea ufficiale del Carroccio sia ostile all’Europa. Di ben diverso avviso sono altri esponenti di spicco della Lega come Giorgetti, che auspica l’impegno in politica di Draghi, i governatori Zaia e Fontana che più volte si sono dichiarati convinti europeisti, l’ex segretario Maroni da sempre legato al pensiero di Gianfranco Miglio, costituzionalista e teorico della Lega, che auspicava un’Italia federale in un’Europa federale. Costoro, evidentemente per amor di partito, preferiscono tacere, ma il loro silenzio appare più assordante e convincente di un comizio di piazza. È un silenzio che tradisce la preoccupazione di molte imprese del lombardo veneto che hanno intensi rapporti con l’Europa e temono i gravi contraccolpi di un eventuale Italexit. Quella creatasi all’interno della Lega è dunque una situazione paradossale, soprattutto se si considera che nei primi anni Novanta - quando a causa del nostro elevato debito pubblico rischiavamo di non poter entrare in Europa - Umberto Bossi auspicava la «secessione della Padania» per non rischiare di perdere l’ambito treno europeo.

Da allora, con la graduale fuoriuscita di Bossi molte cose sono cambiate. La Lega, entrata a far parte di alcuni governi presieduti da Berlusconi, ha dapprima rinunciato alla secessione per poi via via attenuare anche la spinta federalista. Con l’ascesa, poi, di Salvini alla segreteria del partito si è aperto uno scenario del tutto nuovo, contrassegnato da una linea marcatamente «sovranista», orientata a raccogliere voti nel Centro e Sud d’Italia grazie alla sua straordinaria capacità, sempre più «social», d’intercettare i problemi più pressanti, i mal di pancia più persistenti e i malcontenti più qualunquisti della popolazione. Questa nuova linea politica ha fatto crescere in pochi anni la Lega dal 4% al 34%, ma negli ultimi tempi, dopo la fine dell’intesa di governo con il M5S, si è reso sempre più evidente un sensibile declino, certificato dalla recente autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini concessa dal Senato per la vicenda di Open Arms. Peraltro, in più occasioni, si ha oggi modo di constatare la presenza di due Leghe. Quella del Nord di Zaia e di Fontana e quella del Centro-Sud di un Salvini sempre più chiaramente «nazionalista e antieuropeo».

L’accordo europeo ha ulteriormente indebolito il leader della Lega, che ha visto il suo amico sovranista Orban schierarsi apertamente per l’accordo, come anche il suo alleato Berlusconi, mentre Giorgia Meloni, in netta crescita, si è detta moderatamente soddisfatta dell’accordo ma pronta ad incalzare il governo sull’efficace utilizzo dei fondi europei. A Salvini, se vorrà ancora coltivare ambizioni di governo, l’onere di ricompattare il suo partito uscendo da logiche antieuropeiste.

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