La nomina in Europa
Il gioco di Salvini

Il colloquio a Palazzo Chigi tra Giuseppe Conte e la nuova presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen si è concentrato sulla composizione del nuovo governo della Ue. Certo, si è parlato di politica migratoria, di dazi, di riforme e di ruolo europeo nel mondo ma tutto è rimasto allo stato iniziale, quello delle buone parole e dei sani principi («Per gli immigrati serve la solidarietà di tutti») ancora lontane da un piano politico condiviso (riformare il Trattato di Dublino, ripristinare la missione Sofia, rendere obbligatorie le quote di immigrati, ecc.). Quel che più contava nel colloquio era il nome del commissario italiano, uno dei ventotto, metà donne e metà uomini.

Questo nostro rappresentante dovrebbe, secondo la richiesta dell’Italia, rivestire un ruolo economico importante. E dovrà essere candidato per forza un leghista, cioè un esponente del partito che alle ultime elezioni ha raccolto più voti. Il problema è proprio questo.

Per conquistare una poltrona come quella della Concorrenza richiesta da una pletora di Paesi – a cominciare dalla Danimarca che vuole la conferma della commissaria uscente Vestager – serve un forte accordo politico con chi comanda a Bruxelles, cioè tedeschi e francesi. Quando Conte ha dato finalmente il suo sì a sostenere per la presidenza della Commissione l’ex ministra della Difesa di Angela Merkel ha negoziato proprio questo: l’appoggio dell’Italia in cambio del posto di commissario alla Concorrenza.

Peccato che qualcosa sia andato storto: la Lega a sorpresa (ma mica tanto) ha votato contro Ursula cui sono andati i soli voti (peraltro determinanti) dei 5 Stelle. Il primo a sorprendersi è stato proprio Conte che dal voltafaccia di Salvini ha visto crollare la sua tattica diplomatica. E ora Conte dovrebbe proporre a Ursula proprio un nome leghista (Costamagna, Centinaio, Bongiorno, o ancora Giorgetti nonostante si sia tirato indietro). Va da sé che a Berlaymont potrebbero non essere d’accordo e sfruttare il passaggio parlamentare (quello in cui i candidati vengono valutati dagli europarlamentari) per bocciare un esponente politico del partito che non solo ha negato i propri voti alla presidente ma è alleato in Europa con l’estrema destra dell’AfD e con il Front National di Marine Le Pen ed è sospettato di rapporti troppo stretti con Putin. C’è il precedente di Rocco Buttiglione che fu bocciato.

Escluso l’uomo di Salvini si dovrebbe correre ai ripari con un tecnico, ma a quel punto per l’Italia potrebbe essere sfumata la possibilità della super-poltrona. Del resto la Concorrenza ce la contendono, Vestager a parte, anche i lettoni, i bulgari, gli irlandesi, i cechi e gli slovacchi: non c’è che l’imbarazzo della scelta, nel caso.

I grillini sospettano che Salvini voglia provocare proprio la bocciatura di uno dei suoi per avere mano più libera nella polemica con l’Europa in campagna elettorale. Questo tuttavia si ritorcerebbe contro il suo stesso governo che farebbe la figura, con l’elettorato, di chi ha portato a casa ben poco di quello che sperava e prometteva. Ma forse la chiave di lettura di tutta questa intricata faccenda sta proprio nelle intenzioni di politica interna di Salvini: se si prepara, come tutto lascia pensare, a nuove elezioni in primavera all’insegna del sovranismo e anti-europeismo, in polemica sia con la Germania che con la Francia oltre che con Bruxelles, recitare la parte degli esclusi e dei perseguitati dai poteri forti potrebbe persino essere fruttuoso sotto il profilo della raccolta dei voti. Alla faccia di chi rimprovera a Salvini e a Conte la progressiva emarginazione dell’Italia dai giochi che contano (a vantaggio di Madrid).

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