L'Editoriale / Bergamo Città
Domenica 04 Ottobre 2020
La montagna merita
una politica integrata
Sulle Orobie in poche ore è caduta la pioggia di un mese: tra i 100 e i 120 millimetri. Troppi per i nostri torrenti e per gli invasi di alta quota, che sono tracimati quasi all’istante, facendo precipitare a valle quantità d’acqua impressionanti. Chi conosce l’asta del Serio non ricorda esondazioni così imponenti a Villa d’Ogna; a Valbondione i bacini sulle pendici del Redorta hanno scaricato sulla provinciale cascate di acqua e detriti, isolando il paese; in Val Brembana, dove Ornica e Valtorta ieri sera risultavano ancora isolati, non si contano le frane e gli smottamenti: per chi ha vissuto il dramma del 1987 l’ondata di piena del Brembo faceva un effetto inquietante, soprattutto a San Pellegrino dove il fiume ha oltrepassato il livello di guardia e si è mangiato parte della pista ciclabile.
A conti fatti, se lo strascico di maltempo previsto oggi non porterà altre brutte sorprese (l’abbassamento del limite della neve dovrebbe scongiurare le esondazioni), poteva andare peggio. La forza della natura, vista all’opera, ha fatto temere scenari apocalittici. Invece non ci sono stati feriti, per fortuna, e i danni alle case e alle aziende sono fortunatamente circoscritti. Purtroppo il conto maggiore lo pagano, come di consueto, le infrastrutture pubbliche: le strade, sbriciolate sotto la furia degli elementi, e le linee elettriche (blackout a macchia di leopardo, con un paese intero, Ornica, rimasto senza corrente per diverse ore).
In un caso e nell’altro, l’eccezionalità dell’evento atmosferico c’entra, ma fino a un certo punto. Sulla gestione dell’emergenza, infatti, abbiamo assistito all’attivazione di una macchina puntuale, efficiente e oliata al punto giusto. Un centinaio i volontari di Protezione civile che si sono mobilitati dopo un vertice in prefettura venerdì sera, 36 gli interventi dei vigili del fuoco nelle prime ore della giornata (ne sono seguiti altri, anche se a ritmo più allentato). Le operazioni di soccorso sono state rapide, le evacuazioni mirate, i sopralluoghi, laddove possibile, puntuali.
Sulla fragilità del patrimonio pubblico e sulla mancanza di prevenzione invece si può discutere. E l’elenco è lungo: versanti franosi che si moltiplicano a ogni nuovo acquazzone, strade che si sgretolano come se fossero fatte di marzapane, scarsa manutenzione sui letti di fiumi e torrenti, terreni incolti e boscosi che avanzano un po’ ovunque.
«Chi resta in montagna è una persona coraggiosa, che sa adeguarsi, anche sopportando qualche sacrificio» ha detto Carlo Personeni, presidente del Bim, che proprio ieri mattina è stato riconfermato per la quinta volta alla guida del Consorzio montano dai sindaci riuniti in assemblea alla Casa del Giovane. Per poi aggiungere: «La condizione primaria di ogni azione di rilancio deve essere quella di mantenere, anzi favorire la presenza umana sui territori di montagna». La storia del Bim, che ridistribuisce sul territorio i profitti derivati dalla captazione dell’acqua, è iscritta in quel solco tracciato dall’articolo 44 della Costituzione, che si prefigge di «conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali» e prevede «provvedimenti a favore delle zone montane». In questi ultimi anni la sensibilità sul tema è cresciuta. Due anni fa sono stati istituiti gli Stati generali della montagna, la legge sui piccoli Comuni ha istituito un fondo ad hoc, la Regione Lombardia ha un assessorato dedicato… Eppure sono bastate poche ore di pioggia per far mancare servizi essenziali come una strada o una linea elettrica. Se è vero che le condizioni meteo sono state straordinarie, è altrettanto vero che questi eventi sono sempre meno eccezionali. La montagna è un formidabile contenitore di risorse esauribili: dall’acqua all’aria, dagli spazi aperti alla biodiversità, dalla cultura contadina alla gastronomia. Ma perché tutti quanti ne possano godere, serve che essa sia un territorio abitato e vissuto, altrimenti è destinata a sgretolarsi sotto i colpi di un clima che a tratti non riconosciamo più.
Il rischio di creare contenitori vuoti o semivuoti nel dibattito intorno alla montagna resta alto. Per esempio: cosa stanno producendo i 12 tavoli tecnici permanenti degli Stati generali istituiti nel 2018? Le valli, dopo il brutto risveglio di ieri, hanno davvero bisogno di un’iniezione di concretezza.
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