La ministra lasciata sola aspettando le dimissioni

ITALIA. Un silenzio di gelo. Nell’aula di Montecitorio chiamata a discutere la mozione di sfiducia individuale contro la ministra del Turismo Daniela Santanchè (FdI) presentata dal M5S con l’adesione di Pd e Avs, nessun deputato della maggioranza si è iscritto a parlare per difendere l’esponente del governo Meloni.

Non solo, i banchi della Lega e di Forza Italia erano vuoti. Zero presenze. Semideserti quelli di Fratelli d’Italia e del governo: solo i ministri Musumeci e Ciriani si sono presentati, oltre a una viceministra e a un sottosegretario. Daniela Santanchè ha ostentato sicurezza, come sempre e come prevede il suo copione, ma non poteva non vedere ciò che plasticamente l’Aula dimostrava: ormai i suoi l’hanno lasciata sola. Certo, voteranno contro la mozione dell’opposizione, per ragioni evidenti di bandiera, ma la loro speranza è che lei si dimetta spontaneamente, come fanno filtrare da Palazzo Chigi. Da quelle stanze viene fatto sapere che nessun colloquio c’è più stato con Giorgia Meloni da parecchie settimane e che nessuno, tanto meno la premier, ha potuto apprezzare quel «chissenefrega» pronunciato con sicumera dalla ministra a chi le chiedeva quale fosse la sua reazione al silenzio dei suoi compagni di partito.

Le accuse

«Chissenefrega del partito» è una frase che Giorgia Meloni non può tollerare. E tuttavia non può certo lasciare che una sua ministra venga impallinata dalle opposizioni che già hanno gioco facile nell’accusare la Santanchè non solo per via del rinvio a giudizio sul fallimento della sua società e per l’accusa di truffa all’Inps, cioè allo Stato, ma per il fatto di essere «un conflitto di interessi ambulante», come hanno detto con ruvidezza i deputati grillini e democratici.

I quali hanno messo nel mirino anche il mancato intervento della premier per far dimettere d’autorità la ministra: «Forse che Giorgia Meloni è ricattata dalla Santanchè?» è una domanda che è riecheggiata più volte sotto la volta a vetri dell’aula dei deputati. E per una che ha più volte ostentato la propria «non ricattabilità», deve essere un sospetto più che urticante.

Il pressing

Però questo non vuol dire che sia probabile una sua mossa autoritativa: si punta sul pressing, sulle dimissioni volontarie. Anche il grande alleato-protettore della Santanchè, Ignazio La Russa, ormai l’ha lasciata al suo destino, mentre dall’esterno di Fratelli d’Italia appaiono come puramente d’ufficio certe difese della ministra come quella di Matteo Salvini che ci ricorda come nessuno possa essere considerato colpevole secondo il codice fino a quando non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato. Ma sta di fatto che nessuno della Lega ha detto di più.

Si aspetta dunque un voto che potrebbe essere dopodomani o magari anche più in là mentre crescono i nervosismi all’interno della coalizione provocati dal duro scontro con la magistratura cui la Meloni pare voglia uno stop, per quanto armistiziale: «Siamo aperti al dialogo» ha fatto sapere al neo presidente dell’Anm Parodi invitandolo a Palazzo Chigi. Questo però non vuol dire che il centrodestra rinunci alla riforma dell’ordine giudiziario con la separazione delle carriere tra magistratura giudicante e procure. Lo si capisce perfettamente leggendo le chat interne a Fratelli d’Italia che sono state pubblicate in un libro dal titolo «Fratelli di Chat». È quello dove si trovano anche frasi insultanti nei confronti soprattutto di Matteo Salvini, «ministro bimbominkia» secondo il braccio destro della Meloni Fazzolari, sottosegretario di Palazzo Chigi. Salvini ha nascosto, faticando non poco, l’arrabbiatura preferendo andare all’attacco con la proposta di una nuova rottamazione delle cartelle esattoriali alla quale Fratelli d’Italia non sarebbe favorevole.

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