L'Editoriale / Bergamo Città
Venerdì 21 Giugno 2019
La metamorfosi
di Forza Italia
Forse fuori tempo massimo, o forse no. Silvio Berlusconi prova a salvare la sua creatura politica, Forza Italia, prima che la Lega di Matteo Salvini la assorba definitivamente. E le ultime decisioni del Cavaliere sull’assetto interno del partito per la prima volta hanno un carattere per dir così «democratico», cioè escono dal criterio del partito puramente carismatico (dove il fondatore è tutto e al di fuori del suo favore si è niente) e provano ad entrare nello schema di un partito «normale».
Curioso che Forza Italia, primo partito leaderistico della storia repubblicana, si rifaccia alle caratteristiche collegiali delle formazioni politiche del ‘900, proprio mentre gli altri competitor, a cominciare dalla Lega, affinano un verticistismo in cui il leader - Salvini, nella fattispecie - è il dominus incontrastato. Insomma, una marcia all’indietro. Nella speranza che funzioni. E così, per quanto Berlusconi resti il «padre nobile» cui tutto si dovrà riferire, nasce un organismo in cui due esponenti azzurri - il governatore della Liguria Toti e l’ex ministro Mara Carfagna - vengono investiti della responsabilità di gestire, insieme a Tajani e Gelmini, una fase congressuale. Che è essa stessa una novità assoluta: Forza Italia nella sua storia non ha mai celebrato dei congressi «normali», con votazioni contrapposte, liste di candidati, lotta per la leadership, ma solo convention incentrate sulla figura e la parola di Silvio Berlusconi nel cui nome si cantavano gli inni di inizio e fine dell’adunata. Questa volta invece si prova a fare qualcosa di diverso, anche se un poco timidamente. Le primarie, da sempre rifiutate da Berlusconi, potrebbero anche svolgersi, almeno in secondo grado, con gli «eletti» che scelgono i coordinatori locali. Ma naturalmente a Toti questo non basta: è vero che il «ribelle» si è fatto recuperare nel partito - lui che stava in bilico, con un piede dentro e un piede nel campo sovranista-leghista-meloniano - ma ora pretende primarie vere in cui si sceglie col voto chi comanda.
«Non basta un board per far resuscitare un morto», dice con un paragone abbastanza macabro. Del resto Toti non ha mai nascosto di considerare Forza Italia un partito finito, a meno di una radicale conversione «che accetti di mettere in discussione lo stesso nome». Se però Toti resta dentro il recinto, vuol dire che almeno per il momento non si concretizza né la sua confluenza sic et simpliciter nella Lega, né la creazione di un nuovo soggetto, magari con Fratelli d’Italia, che faccia da seconda gamba a un destra-centro salvinizzato. E qui sta la differenza tra il «ribelle» e Berlusconi: il primo pensa di poter contribuire a una nuova fase riconoscendo senza discussioni il primato di Salvini e del suo partito. Il secondo invece è ancora legato all’idea che Forza Italia possa essere «la parte pensante» di una coalizione di centrodestra: non solo non si sottomette a Salvini ma rivendica una leadership morale, se non proprio di numeri e di voti. Cosa che evidentemente il capo leghista, che ha portato il suo partito dallo sprofondo del tre per cento al cielo del 34, non accetterà mai.
Insomma, non è detto che quella cui stiamo assistendo sia la versione definitiva della futura coalizione che sfiderà centrosinistra e grillini. È piuttosto indice di una fase di passaggio in cui i moderati non leghisti provano a riposizionarsi e a ritagliarsi un ruolo, scongiurando un declino che fatalmente finirebbe per accompagnare il ciclo, umano prima che politico, di Silvio Berlusconi.
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