L'Editoriale
Venerdì 24 Novembre 2023
La Manovra quei brutti segnali per Meloni
ITALIA. La partita economico-finanziaria è forse la più delicata tra quelle, pur numerose e difficili, che il governo sta giocano.
E il motivo lo ha spiegato con efficace asprezza la direttrice generale del Fmi, Kristalina Georgeva: «L’aggiustamento di bilancio che l’Italia sta adottando - ha scandito - non funzionerà abbastanza velocemente da ridurre i livelli di deficit e debito». Frase che va messa in correlazione con l’altra che segue e che riguarda buona parte dei Paesi europei: «Occorre che procediate a correzioni di bilancio e vi allacciate le cinture». Allacciarsi le cinture: fosse facile, in un momento in cui bisogna sostenere l’economia che rallenta e che viene penalizzata dalla recessione in atto nella locomotiva dell’Unione, la Germania.
Che però potrebbe essere indotta, per interesse nazionale, a sollevare il piede dal freno che tiene continuamente premuto quando si parla di conti pubblici: la sentenza di ieri della Corte Costituzionale di Karlsruhe che ha messo in pericolo i 260 miliardi di aiuti per i costi energetici generosamente disposti dalla Cancelleria potrebbe indurre Berlino a rivedere per una volta il suo rapporto deficit-debito-pil, insomma a comportarsi «all’Italiana» pur di sostenere l’industria nazionale che sta paurosamente frenando (mettendo a serissimo rischio tutto il comparto industriale italiano che dipende - vedi la componentistica dell’automotive - proprio dalla Germania).
Anche di questo si dovrebbero aver parlato l‘altro giorno a Berlino Giorgia Meloni e Olaf Scholz nel loro vertice bilaterale: chissà se c’è speranza che la posizione tedesca sulla riforma del Patto di stabilità possa ammorbidirsi prima dell’Ecofin dell’8 dicembre. Certo qualche problema al cancelliere lo sta creando la vittoria in Olanda dell’ultradestra capeggiata da quel bizzarro personaggio dai capelli tinti biondo platino che nelle manifestazioni ai tempi della crisi finanziaria dell’euro andava in giro con un cartello al collo in cui c’era scritto: «Neanche un centesimo all’Italia». Se Rutte non era un nostro amico ma il martello dei tedeschi, Geert Wilders è di sicuro un nostro acerrimo avversario e adesso un alleato scomodo anche della Germania.
In ogni caso l’Italia ha tempo fino a marzo per dimostrare alla Commissione europea che i suoi dubbi sulla manovra sono esagerati e che le previsione della leader del Fondo monetario troppo pessimistiche. Per indurre tutti a giudizi meno severi, tuttavia, sarà necessario decidersi una volta per tutte a ratificare la riforma del Mes, il Fondo salva Stati, su cui l’unica firma a mancare è quella degli italiani. Nel frattempo Meloni cerca il confronto con le parti sociali per verificare insieme se siano possibili dei correttivi «sociali» che non alterino i saldi della manovra ma diano un segno di migliore sostenibilità sociale del Bilancio (per esempio sulle pensioni dei medici). Il punto però è che sia i sindacati che la Confindustria - entrambi censori del lavoro del governo su questo piano - hanno snobbato l’invito-convocazione di Palazzo Chigi. Maurizio Landini ha fatto sapere che non potrà essere presente causa manifestazioni dei trasporti, e anche il presidente di Confindustria manderà il suo direttore generale a rappresentarlo. Brutto segnale.
Nel frattempo Conte presenta la sua contromanovra di sinistra-sinistra: rimetterebbe in pista il superbonus e tasserebbe pesantemente banche, assicurazioni, industrie farmaceutiche e delle armi. L’obiettivo è sempre lo stesso: strappare a Elly Schlein il posto di primo partito della sinistra italiana e avversario numero uno della destra al governo in vista delle elezioni europee del prossimi giugno.
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