L'Editoriale
Martedì 17 Dicembre 2024
La manovra e il nodo copertura delle spese
ITALIA. Mercoledì alle 14 il governo chiederà la fiducia alla Camera sulla manovra dopo che la Commissione Bilancio avrà terminato in mattinata il suo lavoro. Venerdì ci sarà il voto finale.
Poi toccherà al Senato, sperando che non ci siano intoppi e che non si scivoli oltre Natale: come è noto la legge di bilancio deve essere approvata entro il 31 dicembre, pena l’esercizio provvisorio. Ma non accadrà, nonostante le polemiche e nonostante che ieri in conferenza dei capigruppo questa decisione sulla tempistica sia stata presa a maggioranza e non all’unanimità come è prassi in queste circostanze. Il percorso della manovra è stato tribolato come sempre, e per tre ragioni: le divisioni tra i partiti di maggioranza, il tira e molla tra i ministri sui tagli di bilancio, le polemiche con l’opposizione e con i segmenti sociali che via via si sono sentiti penalizzati. Alla fine, questo tipo di ostacoli vengono rimossi con lo strumento della fiducia che spazza via ogni cosa: un tempo la fiducia sulla legge di bilancio era considerata un insulto alla sovranità del Parlamento ma da almeno vent’anni, cioè da quando Tremonti era il signore di via XX Settembre, è diventata la norma.
La polemica più sanguinosa è stata da ultimo quella sull’aumento dell’emolumento dei ministri non parlamentari che hanno chiesto e ottenuto l’equiparazione con i loro colleghi che sono anche senatori e deputati. L’opposizione ha avuto buon gioco nel mettere in relazione i soldi in più dati ai ministri con i minimi aumenti delle pensioni: un ottimo argomento di polemica contro il governo. Il quale ha ribattuto sull’altro tasto dolente della sanità. A Schlein che ha rimproverato di aver diminuito il fondo sanitario in percentuale sul Pil, ha risposto Giorgia Meloni dal palco di Atreju: «Noi abbiamo aumentato il fondo di dieci miliardi in due anni, voi di otto in quattro anni: avete dei problemi con la calcolatrice?».
La polemica più sanguinosa è stata da ultimo quella sull’aumento dell’emolumento dei ministri non parlamentari che hanno chiesto e ottenuto l’equiparazione con i loro colleghi che sono anche senatori e deputati
Nell’ultima fase della discussione in Commissione è tornato anche il tradizionale provvedimento delle «mance»: si tratta di 150 milioni in tre anni da destinare agli enti locali per interventi vari. Si va dal potenziamento di un piccolo aeroporto regionale al sostegno per gli artisti di strada, dalla lotta all’obesità alla semplificazione delle assunzioni nella Regione Sicilia, dai fondi per le sagre a quelli per le manifestazioni sportive, ecc. In genere anche l’opposizione viene ammessa a partecipare in piccola parte a questo tipo di provvidenze dal sapore elettoralistico. Questa volta invece il Pd è stato escluso e i democratici hanno molto protestato, sicché il governo ha promesso che porrà rimedio.
Sono anche ricomparsi i 20 milioni del Fondo per l’editoria: il taglio brutale delle risorse per il pluralismo aveva fatto pensare ad una ritorsione nei confronti di una stampa non sempre amica del governo. ora i soldi sono (in parte) riapparsi. Nessun problema invece per i 120 milioni a favore delle missioni internazionali e nemmeno per quelli destinati ad aiutare le donne vittime di violenza.
Rispettare i conti però ha significato anche mantenere solo in parte le promesse elettorali del centrodestra e forse è anche per questo che qualche segnale si vede nei sondaggi elettorali. Resta però che il partito e la leadership di Meloni sono ancora molto forti
Il punto centrale della polemica con le opposizioni e i sindacati è la copertura delle spese: secondo la minoranza sarebbero «incerte» perché basate su una previsione di crescita del Pil nel 2025 che però enti terzi, da ultimo la Banca d’Italia, hanno pressocché dimezzato. Il governo replica sostenendo invece che la tenuta dei conti è un punto fermissimo della manovra, essenziale per sedersi a tutti i tavoli di Bruxelles senza subire ritorsioni e penalizzazioni e per affrontare i mercati con sicurezza. Rispettare i conti però ha significato anche mantenere solo in parte le promesse elettorali del centrodestra e forse è anche per questo che qualche segnale si vede nei sondaggi elettorali. Resta però che il partito e la leadership di Meloni sono ancora molto forti, in grado comunque di affrontare i marosi dei prossimi mesi.
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