L'Editoriale
Giovedì 29 Agosto 2024
La manovra, l’Europa e le parole di verità
ITALIA. Non ci sono più le leggi di bilancio di una volta. Bisogna saperlo bene, ora che viene settembre con le sue scadenze inesorabili, per capire cosa sta cambiando nella disciplina della finanza pubblica.
Dal Covid in poi, erano saltati tutti i parametri restrittivi. Non solo non si parlava più di austerità, ma si poteva quasi praticare il suo opposto. Ora, quel tempo è finito, l’Ue ci ha messo sotto procedura di infrazione, e parte un programma rigido di medio (4 anni) o lungo (7 anni) periodo. L’Italia ha scelto quello meno stressante, cioè il settennale, ma significa che avremo 7 anni di autonomia decisionale limitata, partendo ogni 1° gennaio da quota -12/15 miliardi.
L’impostazione la scegliamo noi, Governo e Parlamento, sia pure dentro binari già ora tracciati a Bruxelles, ma – una volta scelto il programma – non lo si potrà sostanzialmente cambiare. Dovremo rispettarlo senza prenderci le solite italiche libertà del «vedremo» e «rinvieremo». È lo stesso metodo inaugurato dal NGEU, e vediamo bene quanto sia difficile rispettarlo anche solo per spendere i fondi.
Rispetto dunque ad un percorso obbligato, fatto di obiettivi con percentuali e numeri precisi e soprattutto di riforme finalizzate al superamento del nostro eterno ritardo, vi sarà una sola eccezione possibile: quella del cambio di Governo. È l’unico spazio lasciato alla politica, responsabilizzando gli stessi elettori.
Correlati a questi vincoli-quadro ci saranno poi altri motivi di restrizione. Il principale dei quali, finchè dura la violazione (che riguarda anche altri, tra cui la Francia), è il divieto di prevedere coperture di bilancio a debito, salvo particolari ambiti da concordare con i 26 partner.
Finito il sistema fino ad oggi prevalente che, ancora nel bilancio che governa il 2024, valeva quasi il 40%. Non c’erano soldi? Si autorizzavano debiti. È anche così che siamo arrivati alla soglia dei 3.000 miliardi attuali. Non si può più. Già sarà complicato superare un conflitto logico: come allocare i soldi a debito aggiuntivo che vengono dal Pnrr, che sono tanti e abbiamo voluto per intero?
Ecco perché si cercano in queste settimane, disperatamente, gli almeno 21 miliardi che coprono l’obolo annuale di cui sopra e i tagli fiscali già esistenti (mica vorremo far arretrare stipendi e pensioni…).
Miliardi inevitabili, ma insufficienti per fare uno straccio di politica economica. Non si creda pertanto ai proclami attorno a bandierine come i 1.000 euro di pensione minima, flat tax o revisioni della curva Irpef. Per ora, soldi freschi sembrano resi disponibili dal maggior gettito fiscale (risultato, peraltro, di politiche nate prima del 2022). Si parla di 10-15 miliardi, ma questi proventi straordinari non dovrebbero essere usati per la spesa corrente.
La battuta non felice di Giorgetti al Meeting, circa le logiche «sovietiche» di queste restrizioni, sono voci dal sen fuggite di un Ministro ben consapevole, perché formatosi dentro il Governo Draghi, ma al tempo stesso vicesegretario della Lega. E quando il Governatore Panetta, sempre a Rimini, ha messo il dito nella piaga di un costo del debito (93 miliardi!) equivalente alla spesa per l’istruzione, ha omesso di spiegare che quest’ultima è una spesa quasi tutta corrente (stipendi e costi vivi). Avessimo 93 miliardi per investire davvero sulla scuola, che Paese diverso sarebbe il nostro!
Come farà il Governo a uscire vivo da tutte queste contraddizioni è motivo di interesse nazionale e dovremmo tifare per un successo, lasciando correre sul paradosso di un governo anacronisticamente sovranista che dovrà gestire una disciplinata sottomissione all’Europa. Certo, la Commissione Von der Leyen non sarà benevola con l’unico grande Paese che ha scelto di stare all’opposizione, pur avendo l’Italia da farsi perdonare di tutto: dagli incomprensibili capricci sul Mes alla violazione della concorrenza. Apprezzabile sarebbe una dichiarazione onesta di Giorgia Meloni sulla serietà dei nodi da sciogliere. Dica pure niente lacrime e sangue, ma sia intransigente con le promesse quotidiane dei suoi alleati e contenga l’ottimismo serale al TG dei suoi portavoce.
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