La manovra e il clima da tutti contro tutti

POLITICA. C’è una frase, nell’intervista rilasciata da Giorgia Meloni al Sole 24 Ore, che dice molto sullo stato dei rapporti tra la presidente del Consiglio e i leader suoi alleati: «Non credo – dice l’inquilina di palazzo Chigi – che si vorrà per qualche voto in più alle europee mettere a repentaglio il governo».

È chiaro che si tratta di un avvertimento. Tajani e Salvini sono da tempo in campagna elettorale per le europee, l’uno contestando la tassa sulle banche e proponendo aumenti pensionistici e privatizzazione dei porti; l’altro cavalcando le ondate di destra mosse dal libro del generale Vannacci, criticando l’abnorme aumento degli sbarchi («Io ho ottenuto risultati quando ero al Viminale, vediamo adesso cosa fanno a palazzo Chigi») e snobbando la relativa cabina di regia messa sotto la responsabilità del sottosegretario Mantovano. Entrambi, con i loro ministri, si sono presentati con una serie di richieste per la manovra di bilancio che sono state perlopiù cassate perché troppo costose. In questo Giorgia Meloni lavora d’accordo con il ministro dell’Economia Giorgetti: entrambi hanno avvertito che «non si potrà fare tutto» e che «bisognerà spendere bene i pochi soldi che ci sono», perché entrambi sono a contatto con Bruxelles e sanno benissimo che i conti pubblici non possono essere scassati se non si vuole correre il rischio di una ondata speculativa sull’Italia da parte di mercati già innervositi dall’atteggiamento sulle banche e sulle compagnie aeree, e se si vuole evitare che la discussione sulle nuove regole del Patto di Stabilità post pandemia si avvii verso compromessi a noi poco favorevoli imposti dalla Germania.

Dunque Meloni e Giorgetti fanno muro e Tajani e Salvini mordono il freno. Ma, dice Giorgia, non vorrete mica segare il ramo dell’albero su cui siamo tutti seduti? Già, perché se si andasse alle elezioni, Meloni sarebbe comunque al sicuro del suo larghissimo margine elettorale mentre Lega e Forza Italia (soprattutto quest’ultima) correrebbero non pochi rischi. C’è addirittura chi sospetta – ma, avvertiamo il lettore che si tratta di pura dietrologia – che la Meloni potrebbe persino brandire la minaccia di elezioni anticipate in concomitanza con le europee se la tensione dentro la maggioranza dovesse salire oltre i limiti accettabili. Esagerazioni? Può darsi.

Di sicuro - e lo dimostra anche la bozza di riforma costituzionale che prevede un aumento corposissimo dei poteri del presidente del Consiglio - Meloni vuole tenere strettissime le redini del governo senza lasciare ai vicepremier troppi margini di autonomia. Non sono stati accentrati a palazzo Chigi il Pnrr, e poi il salario minimo, e adesso la questione dei migranti, e non si è rafforzato il ruolo di Mantovano su tutti i dossier, sui servizi segreti e ora anche sugli sbarchi (mettendo di lato il ministro Piantedosi, ex capo di gabinetto di Salvini al Viminale)?

Queste sono dunque le condizioni politiche con cui il centrodestra affronta la sfida della manovra economica, delle tante promesse da mantenere ma con pochi soldi a disposizione, con l’impossibilità di aumentare il deficit, con la difficoltà di reperire le risorse.

La tassa sulle banche – rivendicata dalla Meloni come propria iniziativa nel colloquio col Sole 24 Ore – porterà tre miliardi ma è stata assai ammorbidita per evitare che comportasse per il governo un contraccolpo negli ambienti economico-finanziari interni e internazionali.

E poi c’è il Quirinale. Dal discorso di Mattarella a Rimini in poi qualcosa sembra cambiato nei rapporti tra il Capo dello Stato e Meloni. E adesso che si è capito che la riforma costituzionale prevede di svuotare i poteri del Presidente della Repubblica (sia pure non di «questo» presidente) la cose potrebbero complicarsi non poco.

© RIPRODUZIONE RISERVATA