La libertà di stampa e il rispetto dei ruoli

ITALIA. Di tutto avevamo bisogno in questa torrida estate, con i problemi che ci attendono inesorabili in autunno e le guerre, tranne che di una polemica accalorata sulla libertà di stampa in Italia.

Ma, ahimè, siamo italiani e non ci facciamo mancare nulla, neppure le diatribe più futili e pretestuose, o quasi. La Commissione europea ha pubblicato il consueto rapporto sullo Stato di diritto in Italia, come fa con tutti i Paesi membri. Questo rapporto non è stato propriamente elogiativo, anzi, ha evidenziato molte criticità, soprattutto riguardo alle riforme (autonomia differenziata, giustizia, premierato) e alla libertà di stampa. I giornali, com’è loro dovere, ne hanno dato notizia. Richiesta di un parere dalla Cina, la premier ha risposto che il rapporto «è fatto male». Già questo è un colpo sotto la cintura, perché è come criticare l’arbitro se ti dà un cartellino giallo, come se fossimo allo stadio. Ma c’è di più: Giorgia ha rincarato la dose asserendo che il rapporto si basa su scorrette informazioni di alcuni giornali nostrani, «portatori di interesse, diciamo stakeholder». E qui c’è il secondo colpo sotto la cintura: un presidente del Consiglio non dovrebbe andare oltre le sue prerogative e, soprattutto, rispettare la libertà degli organi di informazione. Anche perché, per fortuna, in Italia non c’è il Minculpop, nonostante la ormai tradizionale e inveterata attitudine a lottizzare il più possibile la Rai, ieri come oggi, con l’aggiunta di editti bulgari vari.

Nel Paese dove si trova in questi giorni la Meloni, per dire, ci sono molti più problemi nel campo della libertà d’informazione: spesso i giornali vengono chiusi - come l’Apple Day, principale quotidiano d’informazione di Hong Kong - e i giornalisti arrestati o fatti sparire misteriosamente. In fondo Bruxelles aveva diffuso un documento critico su alcuni aspetti dello Stato di diritto nel nostro Paese, niente di più, niente di meno. Interpretarlo e analizzarlo è diritto dei media: è la stampa, bellezza. Al premier sarebbe bastato replicare alle obiezioni di quel dossier. Anche per evitare di confermare indirettamente quanto vi è scritto sulla libertà di stampa oltre che far sì che i giornali citati si atteggiassero a martiri dell’informazione, con grande vantaggio in termini di marketing, per qualche articolo di fine luglio in chiave polemica. E invece si sono tirati in ballo persino gli editori, secondo il luogo comune consolidato da Churchill (che si vantava di parlare direttamente a loro quando aveva delle cose da far sapere), per cui i giornali sono strumenti di editori e poteri forti. Peccato che nessun giornale potrà mai stare in piedi senza chi lo legge. Dunque, gli unici interessi di cui sono portatori sono quelli dei lettori, unici, indiscutibili, insostituibili e accreditati padroni. Tutto il resto è solo calura estiva.

C’è una scena molto emblematica nel film «The Post» di Spielberg. In un circolo privato di Washington, il direttore del quotidiano Tom Hanks fa colazione con l’editore, interpretato da Meryl Streep. Quando questa cerca di orientare un articolo del giornale, il direttore alza la testa dal quotidiano che sta leggendo e dice con molta serenità «stai sconfinando». Ecco, questa è l’unica regola che vige nei giornali: il rispetto dei ruoli. E quando questa regola viene violata, ci pensano i lettori in edicola (o in abbonamento), non comprando o cambiando giornale.

Questa vicenda, tuttavia, ci offre lo spunto per una riflessione più ampia. La libertà di stampa, come ogni altra libertà, non è un diritto acquisito una volta per tutte. Va difesa quotidianamente, con rigore e onestà intellettuale, dai cittadini prima ancora che dai giornalisti, anche nel caso di diatribe insignificanti come questa. Perché la stampa è, e deve restare, il cane da guardia della democrazia, non il cagnolino al guinzaglio del potere di turno. E così, in questa estate infuocata, fra un tuffo e l’altro, ricordiamoci che la libertà non va mai in vacanza. E nemmeno i tentativi di limitarla.

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