La lezione sui vaccini:
produrre in autonomia

Per il secondo trimestre Astra-Zeneca prevede di consegnare all’Ue meno di 90 milioni di dosi a fronte dei 180 milioni di fiale previste dal contratto. Si tratta della seconda riduzione. Per i primi tre mesi erano preventivate 120 milioni di dosi e ne sono arrivate un terzo. Markus Ferber, responsabile economico
del Partito Popolare Europeo (Ppe), connazionale e compagno di partito di Ursula von der Leyen è chiaro: «Se in un contratto sorgono obblighi solo per il cliente, ovvero la Commissione Ue, e non per il produttore farmaceutico, in questo caso Astra-Zeneca, vuol dire che qualcosa non funziona».

La presidente della Commissione europea chiama in causa la casa farmaceutica anglo svedese: «Presto avremo le prove dei vaccini Ue venduti ad altri e Astra-Zeneca dovrà restituirli». Ma il danno resta. Tutti in Europa vivono lo stesso dramma: sanno di dover vaccinare il più presto possibile ma non dispongono dei vaccini in modo adeguato. L’Europa non è autosufficiente ed è al rimorchio dei Paesi anglosassoni. Gran Bretagna e Stati Uniti, quanto a pandemia, hanno sbagliato tutto quello che c’era da sbagliare. Insieme hanno lasciato sul campo centinaia di migliaia di morti, perso tutte le battaglie del contenimento e della prevenzione ma sull’ultimo miglio hanno vinto la guerra del vaccino. In verità non da soli perché la ricerca scientifica che ha portato alla realizzazione del vaccino è della tedesca BioNTech di Magonza. Una piccola impresa gestita da marito e moglie entrambi immigrati turchi e assurti a simbolo della nuova Germania, quella multietnica, dove il colore della pelle e il Paese di origine non si frappongono all’integrazione e al successo. Tutto bello ma non bastante per produrre miliardi di vaccini. C’è voluta la capacità produttiva dell’americana Pfizer per fare della fiala industriale l’arma vincente nella lotta alla pandemia. Astra-Zeneca è anglo-svedese, ha impianti in tutta Europa, utilizza il vaccino creato nei laboratori di Oxford ma si è impegnata prima con il governo britannico. Londra ha investito tutto nella campagna vaccinale e adesso viene portata a esempio. Ma Johnson i vaccini li ha in casa. La Commissione Europea ha capito la lezione. Produrre vaccini è una questione logistica, ci vuole tutta una struttura produttiva che va costruita per tempo. Adesso in Europa dobbiamo accontentarci delle concessioni delle Big Pharma. Ovvero della loro disponibilità ad affidare la produzione a impianti europei. La francese Sanofi si muove in questa direzione con Pfizer. Il secondo vaccino tedesco Curevac, quando sarà pronto a settembre, passerà a Bayer per l’industrializzazione. L’Italia è in corsa con Reithera, prodotto nel Lazio. Ma anche qui occorre aspettare altri sei mesi. È un investimento prezioso e il governo italiano spinge in questa direzione. L’epidemia non passa con l’estate e sarà decisivo disporre di impianti adeguati in caso di emergenze. Per risolvere il problema dell’adesso però le molte aziende farmaceutiche italiane pensano di frammentare la produzione del vaccino e di finalizzare i loro impianti a parti del processo. Il tutto nel quadro di una gestione europea affidata al Commissario Thierry Breton. Ferma rimane la lezione del Covid 19: aperti, globali, europei ma per favore contare soprattutto sulle proprie forze. Essere autosufficienti è la parola d’ordine. I tedeschi avrebbero potuto esserlo. BioNTech può produrre dosi a sufficienza per gli 80 milioni di abitanti. Ma il prezzo sarebbe stato troppo alto. Se i ricchi o anche solo i fortunati si riservano una corsia preferenziale il sentimento di giustizia dei popoli viene offeso. E a quel punto non basta il vaccino per salvarsi dalla rabbia degli esclusi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA