La legge di bilancio, Parlamento indebolito

ITALIA. Il percorso che resta da fare, per l’attuale legge di bilancio, è di fatto obbligato. Un passaggio al Senato, dove il testo non cambierà rispetto a quello approvato (con la fiducia) alla Camera, e poi a Palazzo Madama il via libera definitivo subito prima del 31 dicembre, limite ultimo per non finire in esercizio provvisorio.

Ancora un déjà vu, almeno dal punto di vista procedurale, da cui è comunque possibile trarre qualche riflessione per il futuro. Sui contenuti della manovra finanziaria disegnata dal Governo Meloni, la terza di questo esecutivo, i numeri parlano più chiaramente del profluvio di dichiarazioni roboanti, pro o contro che siano. Sui 28,4 miliardi di euro «mobilitati» dalla legge, più del 60% cioè 17,6 miliardi di euro sono impegnati per finanziare la stabilizzazione del taglio del cuneo fiscale e la riduzione a tre aliquote Irpef per i redditi medio-bassi. Fuor di polemica, rendere strutturale lo sgravio in busta paga per i lavoratori è stato un obiettivo a lungo condiviso da politica e parti sociali nel loro complesso. Qualcuno oggi sembra dimenticarsene, forse per quell’eccesso di partigianeria che pervade il confronto pubblico e che di recente il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è tornato a stigmatizzare, tuttavia resta il fatto che alleggerire cuneo e Irpef ha il duplice merito di contrastare il caro vita e incentivare il lavoro.

Il malessere demografico

Nella stessa legge di bilancio, seppure con una dotazione di risorse ben inferiore, si può rintracciare la volontà di affrontare un altro dei problemi fondamentali del nostro Paese: il malessere demografico. Da qui, per esempio, l’idea di un bonus bebè una tantum da 1.000 euro, riservato alle famiglie con Isee fino a 40mila euro, e la scelta di applicare una sorta di quoziente familiare alle detrazioni fiscali.

Sui 28,4 miliardi di euro «mobilitati» dalla legge, più del 60% cioè 17,6 miliardi di euro sono impegnati per finanziare la stabilizzazione del taglio del cuneo fiscale e la riduzione a tre aliquote Irpef per i redditi medio-bassi

Infine si può valutare positivamente il recupero, in corner, della cosiddetta «Ires premiale» che dovrebbe favorire gli investimenti da parte delle aziende, proprio in un momento in cui molte nostre imprese faticano a immaginare il futuro. Quest’ultima è una delle poche misure frutto di un confronto tra i partiti, o più precisamente del confronto fra i partiti della maggioranza incalzati da Confindustria, e non invece una norma uscita direttamente e fin da subito dagli uffici del ministero dell’Economia. Il che ci porta a un secondo genere di riflessione, meno benevola, sulle modalità di approvazione della finanziaria.

Manca il dibattito

Il Parlamento, considerati soprattutto i tempi contingentati a disposizione, è apparso di fatto privato della possibilità di avere un dibattito di ampio respiro sulla politica economica del Governo. Perfino la sua facoltà di incidere attraverso gli emendamenti è stata limitata a priori fissando un limite irrisorio (poche centinaia di milioni di euro) alle possibilità di spesa. Se non si è accecati dalla partigianeria di cui sopra, si riconoscerà che purtroppo questo stato di cose non è una novità. Anche solo simbolicamente, siamo di fronte all’indebolimento di uno dei capisaldi della democrazia parlamentare, cioè il controllo e la gestione dei soldi dei contribuenti da parte delle assemblee elettive. Le conseguenze pratiche sono altrettanto pericolose. È solo nell’ambito di un dibattito parlamentare opportunamente preparato, aperto e disteso che si potrebbero lasciar indietro mance e mancette per rivolgere il pensiero e l’attenzione a sfide di lungo periodo. Il Pil di un Paese di 58 milioni di persone - con un debito pubblico di quasi 3mila miliardi di euro - non cresce certo grazie a una manovra annuale di qualche decina di miliardi, ma cresce se aumentano fattori quali la produttività del lavoro (anche nella Pubblica amministrazione), la competitività delle aziende, la creatività di tutto l’ecosistema economico. Su questo il Parlamento ha potuto riflettere ben poco. E noi cittadini, di conseguenza, abbiamo difficoltà a farci un’idea di cosa ci aspetta come sistema-Paese.

È grazie a un organismo indipendente come l’Ufficio parlamentare di bilancio, per esempio, che possiamo stimare il valore concreto della cosiddetta «stabilità politica» associata a una prudente gestione dei conti. Lo spread fra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi è sceso, da agosto a oggi, da 145 fin sotto i 110 punti base, ai minimi da tre anni. Vuol dire che gli investitori percepiscono un minore «rischio-Italia». Lo Stato, di conseguenza, spenderà meno in interessi da corrispondere agli stessi investitori, con un risparmio di oltre 17 miliardi di euro nel quinquennio 2025-2029 (l’equivalente di un raddoppio del taglio di cuneo fiscale e Irpef!). Non sarebbe utile discutere pubblicamente una tendenza simile, le sue implicazioni, e come far sì che prosegua?

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