La guerra in Ucraina, serve l’Ue più forte

All’imperversare del conflitto russo-ucraino, l’incompiutezza del progetto politico europeo ha fatto emergere enormi difficoltà nello svolgimento di un efficace ruolo di mediazione sul piano diplomatico, nonostante le apprezzabili iniziative di Francia, Germania e Italia. Una condizione, questa, che impedisce il raggiungimento di efficaci risultati anche in altri importanti ambiti di attività e che risulta principalmente dovuta alla presenza nei 27 Paesi europei di due posizioni politiche che si differenziano sostanzialmente circa il risultato finale da raggiungere.

Da un lato c’è chi, seguendo l’ispirazione dei Padri fondatori, tende alla realizzazione di un «ordine federale»; dall’altro, chi resta ancorato al perseguimento di un «ordine confederale». Il principale punto di differenziazione tra le due posizioni sta nel modo di realizzare il «principio di sovranità». I sostenitori dell’ordine federale, delineato nel famoso Manifesto di Ventotene, pensano ad un’Unione europea autonoma, federale e sovrana, dotata di specifiche competenze - in particolare nei campi della difesa, della politica estera, monetaria e fiscale - gestite unitariamente nell’interesse dei vari Paesi. Auspicano, inoltre, che lo Stato federale si doti d’istituzioni democratiche con un Parlamento capace di rappresentare sia unitariamente il popolo della Federazione, sia i singoli Stati membri che resterebbero pienamente sovrani nelle restanti competenze. Assai diversa è la posizione dei sostenitori dell’ordine confederale, riconducibile prevalentemente alle destre sovraniste europee, che si rifanno all’idea «intergovernativo-confederale» che ha avuto come principale ispiratore Charles De Gaulle. Questa prevede la costituzione di un organismo centrale europeo, privo di una propria autonomia, al quale i vari Stati possano demandare volta per volta il compito di affrontare questioni di comune interesse, mantenendo il diritto di veto su ogni decisione.

La configurazione giuridica in cui si trova oggi l’Europa si caratterizza per alcuni aspetti di tipo confederale (metodo intergovernativo e prevalenza del Consiglio europeo in cui vige il diritto di veto) e altri di tipo federale (Parlamento europeo eletto dal popolo, politica monetaria affidata alla Bce, circolazione di una moneta unica e presenza di una Corte di giustizia). A tale stato di cose si è giunti faticosamente negli anni seguendo il metodo «funzionalista», riconducibile a Jean Monnet, secondo il quale la strada per raggiungere «un’unità politica di tipo federale» non poteva che essere quella di partire dalla costruzione di un’unione economica, per poi procedere a «cessioni graduali di fette di sovranità» da parte dei Paesi membri. Oggi, la tragica vicenda ucraina e l’esplicito attacco all’Europa rendono del tutto evidente la necessità di ulteriori passi per mettere l’Europa in grado di affermarsi sul piano internazionale come un vero e proprio «Stato», capace di rappresentare un significativo punto di equilibrio rispetto ai poteri attualmente dominanti riconducibili a Russia e Cina da una parte e Stati Uniti dall’altra. L’epidemia da Covid ha già rappresentato l’occasione per un’importante svolta nelle politiche europee, con il ricorso a un debito comune che ha consentito la realizzazione di grandi investimenti attraverso i Piani di ripresa e di resilienza. Si tratta, ora, di dare vita ad altri importanti passi avanti quali: la revisione dei parametri sul debito pubblico stabiliti nel Trattato di Maastricht che sono, allo stato, del tutto inattendibili; la possibilità di rendere «strutturale» il ricorso al debito comune europeo dopo la necessaria riduzione dei debiti più elevati come il nostro; la realizzazione di una politica estera comune e di una difesa comune.

Il punto di partenza per la realizzazione di questi obiettivi è rappresentato dall’eliminazione del «diritto di veto» da molti auspicata, ed a cui sono invece strettamente ancorati i sovranisti. Tutto dipenderà, quindi, dagli sviluppi e, soprattutto, dalle decisioni cruciali che nei prossimi anni verranno prese politicamente dai vari Paesi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA