La guerra in Ucraina, le falsità che fanno male

MONDO. Il 17 febbraio 2022, in una lettera all’ambasciatore statunitense a Mosca, John Sullivan, il Cremlino nega che ci sia un piano di invasione dell’Ucraina, nonostante truppe e carri armati russi siano ammassati al confine.

Ribadisce poi alcune richieste ai Paesi occidentali: un’assicurazione formale che Kiev non entrerà mai nella Nato (questione non all’ordine del giorno da anni), il ritiro dei soldati Usa dall’Europa orientale (ridotti a poche migliaia dalla fine della Guerra fredda) e la rinuncia a installazioni di missili ai confini della Russia (non c’erano e non era prevista la loro collocazione). Se non verranno esaudite queste condizioni, per le quali non è fissata una scadenza, Mosca risponderà con non meglio precisate «misure di natura tecnico-militare». Sette giorni dopo l’invio della lettera, scatterà l’invasione su larga scala. Quella su scala minore era stata avviata nel 2014 con l’annessione illegale e militare della Crimea e con il sostegno ai separatisti del Donbass, sempre negato dal Cremlino: ma l’anno scorso Vladimir Putin ha riconosciuto con un decreto la status di veterano militare ai russi che hanno combattuto nella regione ucraina, cioè in uno Stato straniero, in violazione del diritto internazionale.

Il 12 aprile 2022 lo zar definì invece «un falso» il massacro di Bucha, spiegando che il suo fedele alleato, il presidente bielorusso Aljaksandr Lukashenko, gli avrebbe «consegnato i documenti» che lo dimostravano. I documenti non sono stati mai mostrati, nel frattempo l’eccidio simbolo dell’Ucraina martoriata (oltre 1.400 civili uccisi uno a uno nel distretto della cittadina, 175 corpi ritrovati nelle fosse comuni e nelle camere di tortura) è stato confermato da un cumulo di prove inoppugnabili: autopsie, analisi degli ispettori forensi dell’Onu, fotografie e testimonianze. Qualche settimana dopo aver negato la strage, Putin, beffardo e cinico, premiò al Cremlino la 64ª Brigata russa reduce da Bucha, «per l’eroismo e il coraggio dimostrati». Si potrebbe continuare a lungo riportando le decine di dichiarazioni false o ingannevoli dell’ex funzionario del Kgb, riguardo alla guerra che ha dichiarato o ad altre sue azioni. Del resto proprio il Kgb aveva un direttorato preposto alla «disinformatija», antenata delle moderne fake news.

Parlando in tv al popolo russo ben 19 ore dopo l’attentato a Mosca, lo zar ha detto fra l’altro che «in Ucraina è stata creata una finestra per far scappare gli assalitori». Qualche giorno dopo, Lukashenko lo ha smentito (forse non intenzionalmente ma esplicitamente) sostenendo che i quattro terroristi su una Renault erano diretti invece in Bielorussia: del resto l’auto aveva la targa di quel Paese e non le sarebbe stato possibile l’ingresso in Ucraina. Pur non escludendo alcuna pista, ha colpito la rapidità con la quale la macchina del fango si è messa in moto, soprattutto in Italia, colpevolizzando lo Stato aggredito. Anche con migliaia di commenti in Facebook a sostegno della tesi di Putin. E una «prova»: un video nel quale l’ex segretario del Consiglio di sicurezza ucraino, Alexey Danilov, confermava il coinvolgimento di Kiev nell’attacco. Un sito di «fact checking» (verifica dei fatti) ha dimostrato la falsità del filmato, realizzato con l’intelligenza artificiale.

Ma ormai il danno era fatto e molti utenti hanno preso per buona la versione truccata. Il tentativo di chiamare in causa nell’attentato lo Stato invaso, conferma la pervicacia del Cremlino nel perseguire il suo vicino, esercitata da anni con l’intromissione nella vita politica, culturale ed economica di un Paese che non ne vuole sapere di finire sotto il giogo di Mosca. Non conosciamo quali mosse Putin abbia in mente riguardo al non dimostrato connubio fra l’attacco terroristico e Kiev, ma di certo non saranno buone notizie. La macchina di propaganda russa è potentissima: conta su una struttura statale di mille persone e su investimenti ingenti, inquina i social con falsi profili ma anche le campagne elettorali di Stati occidentali, soffia sul fuoco delle tensioni nell’Europa orientale, al di fuori dei propri confini e dove vivono minoranze russe.

Ovviamente esiste anche una propaganda occidentale: l’invasione dell’Iraq fu motivata dagli Usa con la mendace presenza di armi chimiche nel Paese mesopotamico. Ma è una propaganda verificabile e contestabile. Nella Russia di Putin le voci dissenzienti non sono ammesse, non c’è dibattito e non ci sono filtri. Eppure c’è chi, sospettoso verso ogni notizia di fonte occidentale, accredita le bugie del Cremlino senza verificarle, anche quando c’è in gioco il destino di un popolo aggredito.

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