La guerra per superare l’economia americana

MONDO. Come una goccia che prova a scavare la pietra. Con la differenza che, nel nostro caso, la goccia è grande come la Cina e la pietra piccola come Taiwan.

A intervalli regolari Pechino prova a far pesare la propria potenza e manda mezzi militari a incrociare dalle parti dell’isola. L’ultima volta ieri, quando 37 aerei della Cina continentale (cacciabombardieri e Awac) hanno «bucato» lo spazio aereo taiwanese. L’ultima di una lunga serie di manovre e provocazioni che, proprio per essere sempre più frequenti e massicce, sta esponendo quel tratto di mare al rischio di incidenti pericolosi. Pochi giorni fa, una nave da guerra cinese e una americana sono arrivate vicine alla collisione, qualche giorno prima la stessa scena si era svolta nei cieli tra un caccia cinese e uno americano. In ogni caso, mentre la Cina segnala in modo sempre più pressante di non aver rinunciato a Taiwan, che considera una propria provincia, gli Usa mostrano in modo altrettanto evidente di voler difendere l’autonomia dell’isola che, peraltro, non hanno riconosciuto come Stato indipendente.

Le ricorrenze, anche se per fortuna non ancora le similitudini, sono ormai troppe per non chiedersi se ci sia una relazione tra l’invasione russa dell’Ucraina e la successiva guerra e lo stato di tensione permanente che aleggia intorno a Taiwan. C’è il fatto che instabilità chiama instabilità, e che nel mondo globalizzato e interconnesso la pretesa di un Paese diventa facilmente il problema di un altro. C’è il ruolo degli Usa, che non vogliono rinunciare alla funzione di sceriffo del mondo che svolgono da più di un secolo. Ma nel caso in questione il fattore determinante è la stretta relazione che si è sviluppata tra la Russia e la Cina e che sarebbe davvero ingenuo concepire solo come un rapporto di dipendenza tra una Russia braccata dalle sanzioni e una Cina che comprando a buon prezzo gas e petrolio e vendendo tecnologia, la tiene in una condizione di dipendenza se non di sudditanza. I due giganti sono legati dai commerci e dal reciproco interesse, ovvio, ma anche e soprattutto da un comune obiettivo politico: dare uno scossone decisivo all’ordine mondiale guidato dalle democrazie liberali sotto l’ombrello degli Usa.

Attaccando l’Ucraina, la Russia ha offerto alla Cina un’apertura forse inattesa, di certo preziosa. E infatti Xi Jinping, da quel momento, è diventato un protagonista della diplomazia internazionale: ha composto le ruggini tra Arabia Saudita e Iran, ha presentato un piano di pace per l’Ucraina, ha ricevuto Macron e la Von der Leyen, ha organizzato un summit con i leader dei Paesi dell’Asia Centrale. E, non dimentichiamolo, appena eletto per la terza volta presidente, è subito volato a Mosca. Come se volesse farsi trovare pronto al momento, che gli analisti di Goldman Sachs fissano al 2035, in cui l’economia cinese supererà per volume quella americana.

Che il progetto sia di costruire un blocco alternativo a quello guidato dagli Usa lo si vede anche da altre iniziative. Per esempio l’attivismo russo-cinese sul fronte dei Brics, l’organizzazione di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica che in agosto dovrebbe accogliere due nuovi membri non da poco: Iran e Arabia Saudita. Lo si vede dai molti tentativi di gestire le transazioni internazionali non più in dollari ma in yuan cinesi o in altre valute nazionali. E dalle ipotesi di rotte commerciali (per esempio il Corridoio Nord-Sud che unisce la Russia all’India via l’Iran, o la Nuova Via della Seta cinese) che possano evitare l’influenza americana. La guerra in Ucraina e le tensioni su Taiwan sono il bastone che viene agitato contro l’Occidente mentre al Sud del mondo si propone la carota del credito, dell’energia e del commercio con meno regole. E questa guerra è appena cominciata.

© RIPRODUZIONE RISERVATA