La guerra nelle urne un peso relativo

MONDO. Il dibattito pubblico sulla guerra in corso in Europa è inquinato fra l’altro dal vizio di etichettare giudizi con superficiale disinvoltura: chi è a favore del sostegno militare all’Ucraina viene considerato «guerrafondaio», chi è contrario «filoputiniano».

La tragedia che da due anni e mezzo si consuma su un intero popolo, vittima di una vastità di crimini poco conosciuta ma documentata, richiederebbe un ben diverso approccio e meno certezze a prescindere. È evidente che il mancato appoggio al Paese invaso su larga scala dal 24 febbraio 2022 (e su scala minore dal 2014) comporterebbe la sua scomparsa nell’arco di un tempo medio-lungo. E non rappresenterebbe certo il preludio a una trattativa. Vladimir Putin ha ripetuto in più occasioni che non vede «perché dovremmo negoziare se Kiev finisce le munizioni». Recentemente al Forum economico internazionale di San Pietroburgo lo zar ha ribadito che «l’Ucraina non esiste, fu un’invenzione dell’Urss, è parte della Russia». Niente di nuovo, sono giudizi ripetuti da anni per indicare la rotta di un conflitto imperialista e coloniale ispirato al nazionalismo etnocentrico in voga a Mosca da tre decenni.

Alle orecchie del popolo aggredito, quel «l’Ucraina non esiste» suona inquietante ovviamente. Eppure il dibattito pre elettorale sulla guerra in Europa si è ridotto a una sorta di quiz (sostegno militare a Kiev sì o no? Scioglimento della Nato sì o no?) senza assumersi la responsabilità delle conseguenze delle proprie convinzioni. Con l’invasione il Cremlino ha dichiarato di voler ridisegnare l’ordine mondiale, senz’altro iniquo, ma non si capisce quale sia e su quali principi si basi quello desiderato da Mosca. Va da sé che il ridisegno dell’ordine mondiale non può che avvenire attraverso un confronto multilaterale, una conferenza internazionale più che un negoziato fra le parti in causa nel conflitto russo-ucraino. Ma di questi temi decisivi per il nostro destino non c’è stata traccia nella campagna elettorale per le Europee. La guerra, anche quella di Gaza, è rimasta sotto traccia e gli elettori hanno dato priorità soprattutto a temi quali il lavoro, il costo della vita, la sanità e l’immigrazione, trasversalmente e non solo in Italia.

Nei commenti post voto è stato detto che il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere Olaf Scholz sono stati sconfitti per le loro recenti uscite pubbliche spintamente «guerrafondaie». Ma da almeno un anno i sondaggi registravano la forte avanzata dell’estrema destra di Marine Le Pen e dell’Afd. Il più putiniano (dichiaratamente) dei leader europei, il primo ministro ungherese Viktor Orbán, ha subito una grave battuta d’arresto.

In Italia sono cresciuti in particolare FdI (a favore del sostegno militare dell’Ucraina), il Pd (anch’esso a sostegno ma chiedendo contestualmente un’iniziativa diplomatica europea), Alleanza Verdi e Sinistra (contraria al sostegno ma con un’agenda sociale delineata), Forza Italia (pro invio di armi) mentre è calata la Lega (sono note le simpatie di Salvini per Putin). Male il risultato dei due movimenti che hanno messo la parola «pace» nel simbolo elettorale (i 5 Stelle e «Pace, terra e dignità» promosso da Michele Santoro).

Interessante il successo del Pd: quella che sembrava una contraddizione o addirittura l’assenza di una linea unitaria (candidare chi ha posizioni divergenti sul sostegno militare all’Ucraina, come Giorgio Gori che è a favore, Cecilia Strada e Marco Tarquinio contrari) ha permesso probabilmente di pescare voti trasversali sul tema. Affermare che le urne europee hanno sconfitto il cosiddetto «partito della guerra» (scatenata pur sempre da Putin con la criminale decisione di invadere per conquistare o smembrare uno Stato indipendente e sovrano) non corrisponde a verità. Prova ne sia la reazione non entusiasta del Cremlino. Rilevante il giudizio del politologo Sergej Markov, molto vicino allo zar: «La destra europea non sistemica sta diventando sempre più sistemica», Le Pen «ha assunto una posizione filoamericana e antirussa», strada «già intrapresa da Meloni». La Russia, conclude Markov, «non dovrebbe nutrire alcuna speranza nella vittoria della destra in Europa e Usa». Ma l’evidenza più drammatica è la superficialità del dibattito sulla guerra e la sparizione dalle cronache dei crimini quotidiani sulla carne viva degli ucraini.

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