La Guerra Fredda
del petrolio è vicina

La «Guerra Fredda» (e speriamo che rimanga tale) tra Usa e Iran ha riportato indietro le lancette dell’orologio della storia. Evoca infatti momenti cruenti del passato che hanno riguardato direttamente o indirettamente anche l’Occidente industrializzato. Dovendo citare dei precedenti, si torna al sanguinoso conflitto anglo-americano in Irak del 2003, alla Guerra del Golfo del ’90, a quella tra Iraq e Iran del 1980 o addirittura alla Guerra del Kippur del 1973. Le conseguenze di quelle ostilità furono nefaste non solo in termini di perdita di vite umane ma anche per le conseguenze economiche che si diffusero in tutto il Pianeta, tutte sotto la cattiva stella del petrolio.

Ecco perché preoccupano gli attacchi dei droni alle raffinerie dell’Arabia Saudita, storico alleato americano. L’incursione ha provocato esplosioni e incendi, anche se non si segnalano perdite di vite umane. La prima conseguenza di questo blitz supermoderno è stata una drastica riduzione della produzione di petrolio saudita, che si si è quasi dimezzata, passando da 10 milioni di barili al giorno a poco già di 5 milioni.

Le quotazioni del greggio sono andate alle stelle: oltre il 14 per cento in più. La Casa Bianca ha addirittura autorizzato le riserve di emergenza. Questa Guerra Fredda arriverà anche in Italia, direttamente nel portafoglio e sulla tavola delle famiglie, se il rialzo del prezzo dovesse diventare stabile.

Non bisogna però esagerare sulle previsioni negative: la storia, anche quella economica, non si ripete. Oggi molti Paesi produttori detengono abbondanti quantità di riserve e i Paesi arabi non hanno più il primato del greggio, come negli anni ’70 e ’80, quando l’Opec poteva chiudere o aprire i rubinetti dell’energia e ricattare il Pianeta, a cominciare dall’Occidente. Il primo Paese produttore oggi non è nemmeno arabo, ma è l’America e molti altri Paesi occidentali hanno incrementato le estrazioni di petrolio. Gli Stati Uniti estraggono sempre più greggio grazie al fracking, il metodo di estrazione che si basa sulla frantumazione delle rocce di scisto. In questo modo hanno ridotto la loro dipendenza dal petrolio saudita, anche se rimangono il loro alleato di ferro. Inoltre il 70 per cento dell’oro nero saudita è consumato dai Paesi del Far East e della Cina.

Queste previsioni - diciamo così - non catastrofiche, valgono anche per l’Italia. Tuttavia nel fine settimana c’è stato un movimento al rialzo sui listini dei prezzi consigliati dei carburanti alla pompa. Il settore più a rischio naturalmente è quello dei trasporti, dalle auto ai treni fino al cherosene degli aerei. Di conseguenza aumenterebbero i prezzi alla pompa e le tariffe di treni e aerei. Anche gran parte dell’energia elettrica può subire rincari, non solo per l’economia domestica. Le industrie potrebbero subire un aggravio dei costi (e ricaricare sui prodotti), anche se in questi decenni dipendono meno dal petrolio e più dal gas naturale. Il nostro Paese non fa il pieno in Arabia Saudita, ma importa gas e petrolio soprattutto da Russia, Algeria, Qatar e Libia.

Questa crisi internazionale inoltre coglie il mercato mondiale in un momento di grande abbondanza, con un eccesso di offerta energetica rispetto alla domanda, il cui calo è dovuto al rallentamento dell’economia globale, mentre l’abbondanza di scorte, come abbiamo ricordato, si deve anche al rafforzamento della produzione petrolifera degli Stati Uniti. Questo non significa che dobbiamo abbassare la guardia o guardare con estrema serenità al domani. I mercati risentono comunque delle tensioni geopolitiche e in questo momento l’instabilità politica tocca grandi Paesi produttori di petrolio come il Venezuela, la Nigeria, la Libia, l’Iran e l’Algeria.

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