L'Editoriale
Sabato 27 Maggio 2023
La grande solidarietà e l’urgenza di ripartire
IL COMMENTO. La «piadina solidale», la bella manifestazione che si è svolta ieri sul Sentierone per raccogliere fondi destinati alle popolazioni colpite dall’alluvione in Emilia Romagna è stata una grande idea, ma non basta. Potrà tamponare i soccorsi, ma c’è ancora tanto da fare da quelle parti. Ora che ha cessato di piovere e i fiumi sono rientrati nei loro alvei, il panorama di quei territori fatti di campi di grano, frutteti e campanili è desolante. Il fango asciugato diventa cemento, difficile da rimuovere.
Molti edifici non sono più utilizzabili. Tanti residenti hanno perso tutto il loro mobilio, offesi e resi inutilizzabili dalle onde di melma saliti fino ai piani superiori degli edifici. Decine di piccoli Comuni sono ancora irraggiungibili per via delle frane. Centinaia di strade sono da rifare. Passata l’emergenza, è il momento difficile e critico della ricostruzione: può durare qualche mese, potrebbe durare anni se non decenni come è avvenuto per certi terremoti, come quello del Belice. I romagnoli sono gente «tosta», odiano restare con le mani in mano, «prima facciamo e poi progettiamo» ci ha scherzato su il super romagnolo Paolo Cevoli. Un codice genetico non molto diverso da quello dei bergamaschi, che infatti hanno dimostrato un’empatia tutta speciale con i loro concittadini. I bergamaschi vivono il loro dramma degli emiliani e dei romagnoli come se fossero fratelli. E si è visto ieri.
Una piadina, la bandiera nazionale della Romagna, però non basta, come dicevamo. Servono interventi di lungo periodo, capaci di progetti impegnativi necessari a rinascere. «La solidarietà ci ha travolto più del fiume», diceva ieri una sfollata accolta nella canonica di una parrocchia di Faenza, una delle tante che hanno aperto le porte agli sfollati. «Un’onda operativa fondamentale davanti alla nostra poca lucidità. Una testimonianza significativa e bella che ricorderò», ha detto un’altra volontaria. E per aiutare questa gente niente di meglio che mettersi una mano sul cuore e una nel portafoglio facendo una donazione alla Caritas o rivolgersi ai suoi centri per aiutare in prima persona.
L’organizzazione fondata da Paolo VI ha reso disponibili moltissimi volontari, provenienti dalle più disparate realtà ecclesiali (parrocchie, associazioni ecclesiali e laiche) e anche persone di altre confessioni religiose, come la decina di giovani musulmani che hanno dato una mano a ripulire dal fango il Seminario di Forlì, o i rappresentanti della Sikhi Sewa Society che hanno supportato la Caritas di Faenza. Così il servizio al prossimo - soprattutto per i giovani - diviene anche un luogo di incontro e di dialogo. Non c’è solo la ricostruzione di interi Comuni. Le priorità rimangono le persone. La gente della Caritas non si limita a ricostruire e a liberare le abitazioni dal fango ma stanno accanto a chi ha perso tutto, casa, lavoro, attività, perfino ricordi, come accade soprattutto per gli anziani. «Dobbiamo comprendere e accettare che tra quel tutto che è stato perso, le cose che più piangiamo non sono cose puramente materiali, ma sono i piccoli ricordi degli affetti di una vita. Quanti anziani dicono: “Ho perso tutti i miei ricordi”», lo ha scritto proprio il vescovo di Faenza-Modigliana monsignor Mario Toso, in una lettera aperta a tutta la popolazione.
Gli operatori Caritas, che in questi giorni hanno le mani sporche di fango, vengono supportati dalla rete delle parrocchie, dei conventi e dei seminari romagnoli che hanno aperto le loro porte per ospitare centinaia di sfollati e organizzare letti, mense, distribuzioni di pasti (anche a domicilio). La dimensione del servizio, dell’ascolto, l’attenzione ai bisogni della comunità è al cuore di tutta l’opera di questa grande creatura pastorale frutto del Concilio Vaticano II. È in questi momenti che va supportata la sua missione. Chiesa e carità sono due termini che sono messi in relazione tra loro, la seconda è ormai un tema centrale dello scenario ecclesiale e dell’apostolato di Papa Francesco, per i credenti (ma anche per i non credenti) partecipare a una raccolta di fondi della Caritas significa aderire a una proposta evangelica, alla missione perseguita da sacerdoti, religiosi, volontari che in questo momento stanno vivendo il loro impegno in quelle terre devastate. Non resta dunque che appellarsi al buon cuore dei bergamaschi. C’è bisogna della Provvidenza in queste terre alluvionate e devastate dal dolore. Ma la Provvidenza siamo noi.
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