La giustizia lenta e la «ciabatta»

Il commento. In attesa che il ministro della Giustizia Nordio ne decida il destino, a Bergamo capita che le intercettazioni siano a rischio per colpa di una «ciabatta». L’alimentazione dei server delle apparecchiature di captazione è tutta convogliata in un’unica presa elettrica multipla del costo di pochi euro, che allo stato dei fatti risulta più insidiosa dei progetti del nuovo inquilino di via Arenula.

L’eventualità di un sovraccarico o di un blackout non è infatti del tutto campata per aria a proposito di strumenti obsoleti, soggetti al fenomeno di surriscaldamento dal momento che sono stipati in poco spazio al piano terra della Procura e debbono funzionare 24 ore per ogni giorno della settimana. La vicenda è più emblematica che paradossale. Racconta di una giustizia su cui ci si affanna a confezionare grandi riforme sulla carta senza avere la percezione delle piccole cose che ne permettono il funzionamento. Intendiamoci, la mistica del minuto mantenimento è miope e stucchevole e una rivisitazione del modello giudiziario è sacrosanta, oltre che necessaria. Perché la macchina dei processi e delle indagini e quella delle cause civili pare pure lei obsoleta, come le apparecchiature appese alle bizze della «ciabatta» di piazza Dante.

Ma l’impressione è che al capezzale si siano riuniti troppi luminari abili a prescrivere terapie sofisticate ma non a intuire che serve pure qualche semplice aspirina. Progetti dai nobili intenti, ma che non fanno i conti con la misera realtà. La riforma Cartabia che per i processi farà il lavoro delle Parche, stabilendone drasticamente la durata, è senz’altro uno stimolo ad accelerare la spesso farraginosa macchina della giustizia (e a ottenere i fondi del Pnrr), che vede Bergamo procedere a passo ancora troppo lento nei processi penali e in quelli civili (769 giorni per una causa). Ma dà l’idea di essere stata calata dall’alto, senza mettere prima piede in un tribunale o in una Procura e capire cosa manca per farla marciare.

Spiace essere scontati e noiosi, ma siamo alla solita, annosa carenza di personale, che affligge gli organici e che purtroppo si sta trasformando in alibi per qualche furbo. Il procuratore di Bergamo Antonio Chiappani si deve districare tra riunioni col personale amministrativo perché mancano i dirigenti appositi. Alla sua collega di Piacenza va peggio, dovendosi improvvisare centralinista. Per tappare le falle si fa ricorso al volontariato, ai pensionati, ai ragazzi dell’alternanza studio-lavoro, agli stage trascorsi per lo più al cospetto di una fotocopiatrice. La vera piaga della giustizia è la mancanza di risorse, cui sembra stata abbandonata. Poi, certo, le sacche di lassismo fanno la loro parte.

Il problema è di prospettiva e lo ha accennato ieri il procuratore generale di Brescia Guido Rispoli: c’è troppa gente che vede la giustizia solo come un costo. Invece, se proprio vogliamo affidarci ai conti della serva, indagini e processi a Bergamo nel corso dell’ultimo anno giudiziario hanno consentito di recuperare 11 milioni di euro. Peraltro pochi rispetto al «malloppo» su cui lo Stato era riuscito a mettere le mani nei periodi precedenti. Soldi, sempre rimanendo alla contabilità bottegaia, con cui sono state ampiamente ripagati i 985mila euro sborsati anche per le intercettazioni utili a confiscare gli 11 milioni. «Bisogna far capire che investire sulla giustizia è conveniente», ha concluso Rispoli. Frase arguta, ma anche un po’ avvilente: dà infatti l’idea di dove possa precipitare il dibattito, se anche un magistrato di alto profilo e intelligenza è costretto a passare dai discorsi alati del Principio e de

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