La giustizia ingiusta
Ma il conto ai cittadini

Oni professione è a rischio di errori, per limiti personali, per distrazione, per incompetenza o per sciatteria. Per alcune - come il magistrato o il medico - lo svarione è più pericoloso perché hanno in mano il destino delle persone. Negli ultimi anni la Procura di Trapani ha intercettato e sorvegliato le telefonate di molti giornalisti italiani e stranieri esperti di immigrazione e Libia, trascrivendo i contenuti delle loro conversazioni con colleghi, fonti e avvocati nonostante non fossero indagati.

I rapporti confidenziali dei cronisti con le loro fonti sono protetti dalla legge e la sorveglianza telefonica di persone non indagate dovrebbe avvenire solo in casi rari ed eccezionali. Le intercettazioni sono state fatte nell’ambito di un’indagine avviata nel 2016 sull’attività di alcune ong che operavano nel Mediterraneo per salvare i migranti a rischio naufragio. L’inchiesta si è conclusa a inizio marzo e, secondo alcuni quotidiani, verrà chiesto il rinvio a giudizio per 21 persone. Tra i documenti depositati dalla Procura alla chiusura delle indagini ci sono circa 300 pagine di trascrizioni di conversazioni dei giornalisti, ritenute irrilevanti ai fini dell’inchiesta: ma, contrariamente alla procedura, anziché essere eliminate sono state allegate agli atti, nei quali sono espressi anche giudizi gravi e ideologici, prefigurando un pregiudizio da parte degli inquirenti. Come l’equiparare i volontari ai trafficanti libici, perché «entrambi considerano i migranti una merce preziosa e non naufraghi da salvare». La ministra della Giustizia Marta Cartabia ha disposto accertamenti sull’inchiesta di Trapani. In questo caso è evidente che siamo in presenza di un errore, addirittura di un abuso doloso della Procura siciliana. Certo, i quotidiani nazionali non si fanno molte remore a pubblicare carte d’indagini coperte dal segreto istruttorio, né intercettazioni prive di rilievo penale, con l’effetto di rovinare la reputazione di persone citate ma fuori dall’inchiesta. La somma di due abusi (i cronisti intercettati e la disinvoltura dei quotidiani sulla giudiziaria) però non fa zero ma due.

Intanto proprio in questi giorni il gruppo «Errorigiudiziari.com» ha reso noto l’ammontare dell’esborso da parte dello Stato (cioè di noi cittadini) nel 2020 per errori giudiziari appunto e per ingiusta detenzione: 46 milioni di euro, 37 per la prima voce e 9 per la seconda. Dal 1991 l’esborso è di 870 milioni per 29.656 casi. Si tratta di numeri che sottostimano in particolare il problema dell’ingiusta detenzione: sono centinaia le persone che ogni anno rinunciano a fare domanda d’indennizzo perché non possono permettersi ulteriori spese legali a fronte di un risarcimento che non ripara il danno (235,82 euro per ogni giorno di carcere e 117,50 per l’arresto domiciliare). Il riconoscimento poi ha un iter complesso: può accedervi solo chi, dopo una condanna definitiva, fa domanda alla Corte d’Appello e, in caso di bocciatura, può ricorrere in Cassazione.

Ma ai magistrati che cadono in questi errori cosa succede? Nel triennio 2017-2019 su 3 mila casi di ingiusta detenzione, le azioni disciplinari sono state 53, finite con 4 censure e 9 assoluzioni, mentre 31 procedure sono ancora in itinere. Mercoledì prossimo alla Commissione giustizia della Camera sarà discussa una proposta di legge del deputato Enrico Costa (di «Azione») «per sottoporre a processo disciplinare quei magistrati, sia il pm che il giudice, che hanno sottoscritto e dato il via libera alle manette agli innocenti». Ci sono altri dati su cui riflettere: oltre la metà dei processi che arrivano a dibattimento si conclude con l’assoluzione; il 40% dei detenuti è in attesa di giudizio (ancora innocenti secondo la Costituzione) e statisticamente la metà viene assolto in via definitiva o prosciolto. Le carceri italiane sono le più sovraffollate dell’Unione europea e anche quelle in cui ci sono più persone che hanno oltre 50 anni, secondo un recente rapporto del Consiglio d’Europa. Alla fine del gennaio 2020 nel nostro Paese per ogni 100 posti disponibili in prigione c’erano 120 detenuti. Non siamo lontani dalla Turchia, dove ci sono 127 carcerati ogni 100 posti.

Scriveva il 30 agosto 1983 dalla cella Enzo Tortora, forse l’italiano più noto tra le vittime di errori giudiziari: «Questa spazzatura umana lasciata a fermentare nei bidoni di ferro delle carceri, piene di disperati, di non interrogati, di sventurati e di, come me, innocenti».

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