La Germania si è fermata
Pericolo per l’Italia

L’ economia tedesca è data in recessione per il prossimo trimestre. Segue un trend negativo che è iniziato da quando il presidente Trump ha imposto i dazi alla Cina e all’Europa. I destinatari delle misure americane contro i prodotti europei sono essenzialmente i tedeschi. La Germania con i suoi prodotti di qualità ha soppiantato l’industria americana dopo aver liquidato quella inglese. E questo al dominio anglosassone pesa. E tuttavia se si può capire la ragione a Washington di tanto livore antitedesco, per Paesi come l’Italia riesce difficile seguire il presidente americano su questa strada. Il motivo è dato dai numeri: per l’Italia la Germania è il primo partner sia nell’export che nell’import.

Se guardiamo i settori vediamo che al primo posto nelle esportazioni italiane, secondo i dati della Camera di Commercio italo-tedesca, vi è la meccanica, 13,5%, seguita dalla siderurgia, 11,5%, dalla chimica e farmaceutica, 11,4%, automotive all’11% e gli alimentari solo al quinto posto con l’8,3%. Solo la Lombardia ha un interscambio commerciale di 42,2 miliardi di euro che corrisponde all’import-export della Germania con il Giappone. La Baviera, per la sua parte, importa dall’Italia e poi esporta nel nostro Paese quanto la Germania con tutta la Polonia.

Le due economie sono talmente integrate che è difficile per entrambe prescindere una dall’altra. Per i fornitori italiani, in momenti come questi, si potrebbe pensare ad altri sbocchi. In teoria. Di fatto la penetrazione di altri mercati come quello cinese ha avuto uno sviluppo consistente sia in Germania che in Italia (+11% nell’import e 8% nell’export per l’industria italiana nel 2017) e quindi è improbo poter far di più anche perché Pechino sotto la pressione dei dazi americani segna indici di sviluppo, significativi per l’Europa, ma inferiori al passato. Da qui l’imbarazzo italiano: il governo vorrebbe scrollarsi di dosso il peso dell’egemonia politica tedesca in Europa ma non può se non compromettendo gli affari delle piccole e medie aziende italiane. Le eccellenze italiane, soprattutto in Lombardia, sono riconosciute nel mondo ma restano pur sempre legate al business dei grandi numeri e questi in Europa li fanno i grandi complessi industriali. In Italia da sempre manca una politica industriale, anche tra gli imprenditori, che favorisca la crescita di campioni a livello globale con radici italiane, in grado di creare una catena interna di valore e quindi determinare scelte decisionali conformi anche all’interesse nazionale. Così ai primi colpi di tosse della Germania, in Italia si parla già di febbre per la propria industria. A Berlino si vocifera, negli ambienti vicini al governo, di un piano di investimenti di circa 40 miliardi annui sino al 2023, dei quali dieci solo per la digitalizzazione.

La scuola, la ricerca, l’informatica sono i settori dove il Paese in questi anni ha dormito, inebriato com’era dal successo della sua manifattura. La minaccia Trump ha risvegliato la bella addormentata. Per l’industria italiana intubata alla rianimazione tedesca è ossigeno puro. Si potrà ancora esportare ma i tempi li fisseranno sempre gli altri. Quando finalmente si capirà che il vero sovranismo è quello economico e che un terzo d’Italia per quanto super industrializzato non può bastare per tenere alto il vessillo dell’indipendenza, forse si comincerà a capire che la politica economica è una cosa seria. L’Italia è presa fra gli interessi della grande industria europea, della quale è parte integrante, e l’arretratezza di una parte consistente del suo territorio. Permettere alla parte più inattiva del Paese di dettare la linea sui grandi temi dello sviluppo economico è il primo errore da non fare.

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