La Germania indebitata, l’austerità non salva più

MONDO. Il ministro tedesco delle Finanze Christian Lindner ha deciso l’eliminazione del tetto del debito. Salta per il 2023 l’obbligo costituzionale in Germania di non superare lo 0,35% in deficit . È una notizia che segna una cesura e cambia lo scenario politico soprattutto in Europa.

Le vessazioni finanziarie e economiche imposte alla Grecia nel 2009 dalla Troika ovvero dal Fondo monetario internazionale, dalla banca centrale europea e dalla Commissione europea e patrocinate dall’allora ministro delle Finanze Wolfang Schäuble hanno fatto storia. Con la coalizione di socialdemocratici, verdi e liberali di Olaf Scholz anche la Germania deve fare i conti con la crisi industriale seguita al taglio delle forniture del gas russo. Il governo è costretto ora a dichiarare lo stato di emergenza dopo che la Corte costituzionale lo ha privato di un sol colpo di 60 miliardi. Gli servono risorse per far fronte agli sgravi già concessi alle imprese e ai cittadini per le spese energetiche. E non ha soldi in bilancio.

Da qui il ricorso allo stato di calamità per poter accedere all’ indebitamento. Una situazione inedita che si imputa al governo colpevole di aver trasferito la posta di bilancio dedicata al Covid a quella per il clima e la trasformazione energetica. Per i giudici di Karlsruhe un atto incostituzionale. Adattare la struttura produttiva alla sfida energetica è un processo economico e come tale va considerato. Il nuovo fondo per l’incentivazione alle energie rinnovabili si può fare ma solo come partita di bilancio corrente. Non rientra infatti nella categoria di necessità e urgenza. A meno che non lo si motivi in modo esauriente. Cosa che il ministro competente, il verde Robert Habeck, pare non abbia fatto. Va detto che il vincolo di bilancio ha pesato fin dall’ inizio sull’esecutivo di Olaf Scholz. Il cosiddetto «Sondervermögen» ovvero un fondo speciale per finanziare le spese militari seguite alla guerra in Ucraina è un’invenzione contabile per aggirare il tetto al debito. Un segno dei tempi perché in Germania vi è un ampio strato sociale che considera l’austerità un freno allo sviluppo soprattutto in momenti di eccezionalità storica, climatica e tecnologica come l’attuale.

Non bisogna farsi illusioni perché l’idea di essere i migliori e di dover impartire lezioni agli altri è dura a morire nel ceto medio e popolare tedesco. Ma è un precedente da non dimenticare per chi in Europa si è battuto contro l’austerità e ritiene che il solo modo per abbattere il debito sia incentivare la crescita economica. Una linea di condotta di tutti i governi italiani e che Giorgia Meloni è riuscita a rendere accessibile anche a Bruxelles. Il concetto di fondo è che non si può penalizzare un Paese con forte debito senza offrire vie di uscita che siano percorribili. Si chiama pragmatismo. Un nuovo approccio che trova consenso in Germania nella nuova classe dirigente e del quale abbiamo avuto riscontro nel recente patto d’azione italo-tedesco di Berlino. Il senso dell’austerità nasce dal timore di venir sopraffatti dai Paesi del Sud Europa dove la leggerezza se non il malaffare è spesso protagonista della vita pubblica.

Se però sulla scena appare un leader credibile che si fa garante della solvibilità del Paese, gli animi si placano. È stato cosi con Mario Draghi, che però non aveva la consacrazione del voto popolare. Giorgia Meloni sul piano internazionale sembra voglia calcare le orme del suo predecessore, con il vantaggio di avere una maggiore legittimazione sul piano politico. E questo vuol dire stabilità. Proprio quello che vogliono i mercati che comprano il debito italiano. La salvezza di un Paese non è la rigorosa pedanteria nei conti ma l’attendibilità di chi li esercita. Per la Berlino di queste ore una sorta di eterogenesi dei fini.

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