La Germania fa fatica
ma bilancio sempre sano

Essere pensionati in Germania è una cosa importante: riguarda il futuro. Il futuro di una società che invecchia a ritmi costanti e che pone quindi problemi di gestione e sostenibilità nel tempo. Così la Bild Zeitung, il giornale popolare che funge da coscienza collettiva, ha titolato a piena pagina: ogni pensionato su due non può permettersi hobby. In effetti il 29% percepisce meno di 1.000 euro al mese e il 17% deve avvalersi dell’aiuto dello Stato. L’assistenza sociale paga l’affitto o interviene quando i soldi della pensione di base non bastano.

E tuttavia nonostante le ristrettezze il 90% degli interpellati dice di essere contento. Non può andare in vacanza, fa fatica a pagare il conto del veterinario per l’amato cagnolino, ma ha una certezza che nel bisogno lo Stato c’è. E può intervenire perché il suo bilancio è sano. È cambiato a Berlino il ministro delle Finanze. Al posto dell’arcigno Wolfgang Schäuble, abbiamo il silenzioso Olaf Scholz, ex borgomastro di Amburgo, ma non è cambiato nulla: ha ribadito che il bilancio dello Stato non deve produrre deficit. Il ministro della Difesa la signora Ursula Von der Leyen si lamenta. Trump le fa sapere che la Germania deve spendere di più per gli armamenti mentre a Berlino hanno deciso che solo nel 2024 si arriverà alla prevista soglia del 2% del Pil. Le differenze tra cristiano democratici e socialdemocratici toccano le strategie di spesa ma non il saldo finale. Alla fine deve essere zero, come dicono qui lo zero nero. Di rosso i socialdemocratici hanno solo la bandiera di partito. Una finanza pubblica sana genera nel tempo coesione sociale. Ed è questa la strada maestra sino al 2035 dove si calcola la popolazione sarà intorno agli 82 milioni cioè come adesso. Gestire appunto questo passaggio con un minore numero di giovani è la sfida.

Ed è forse per questo che non vi è programma televisivo che non tratti della cura degli anziani e della qualità della loro assistenza. Ad occhi italiani una noia infinita ma ciò che in Italia si dibatte all’interno della famiglia, in Paesi come la Germania diventa una questione di tutti perché saranno soldi pubblici che verranno spesi. È dal 2003 che non ci si può permettere di scialacquare perché le vacche grasse sono finite e i privilegi accumulati negli anni del boom economico del Dopoguerra hanno dovuto fare i conti con la concorrenza internazionale. Sfida affrontata con successo dall’economia ma non senza costi sociali e con una riduzione del reddito. Sono sette milioni i cosiddetti mini job ovvero i lavoratori a termine e quindi precari. Gente che fa anche più di un mestiere per arrivare alla fine del mese. L’idea di fondo è che la ridistribuzione del reddito può aver luogo se il Paese produce ricchezza. Se guardiamo all’Italia scopriamo che a fronte di più di 5 milioni di poveri ufficiali, molti di questi, come di recente affermato anche dal segretario della Fim-Cisl Bentivogli, di fatto sbarcano il lunario evadendo le imposte. Vi è tutto un mondo fatto di evasione e abusivismo talmente radicato che anche il governo a componente grillina non si è tirato indietro e ha concesso il condono a Ischia. Se così non fosse avremmo avuto ribellioni e scontri sociali, come del resto già accaduto qualche anno fa con la rivolta dei cosiddetti «forconi». Ma l’equilibrio tiene perché le risorse finanziarie anziché essere indirizzate agli investimenti in ricerca, sviluppo e formazione, il vero oro di una società industriale, sono disperse nel tacitare la parte non produttiva del Paese. Un interlocutore tedesco a livello universitario richiesto di un parallelo fra azienda Italia e azienda Germania ha risposto: non esiste un luogo produttivo Italia, esiste solo il Norditalia.

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