La formazione delle liste triste spettacolo, ma astenersi lo alimenta

Il commento. La chiusura delle liste elettorali non è stata un’operazione facile. I malumori degli esclusi e i dissidi interni non sono mancati. Si racconta che la riduzione del numero dei parlamentari abbia complicato le cose. Falso!… anche con numeri triplicati avremmo assistito alla medesima scena. È il funzionamento dei partiti che non va.

Lo spettacolo non è stato per nulla edificante, con i notabili dei partiti (a cominciare dai segretari) preoccupati di garantirsi posti ritenuti sicuri, noncuranti del legame con il territorio del collegio, anziché offrire il proprio valore aggiunto nella competizione elettorale. Questo effetto rivela – una volta di più – l’autoreferenzialità dei partiti, in cui i meriti (veri o vantati) degli esponenti sono misurati e misurabili solo dalla ristretta cerchia interna e non dagli elettori e nemmeno dagli iscritti. A favorire questa opacità c’è l’altissimo tasso manipolativo dell’attuale legge elettorale, che contiene meccanismi che pregiudicano la possibilità di discernimento e scelta dei cittadini: il divieto di voto disgiunto tra quote uninominale e proporzionale, le liste bloccate, le pluri-candidature (fino a 5 nei collegi plurinominali, in possibile aggiunta a uno uninominale) e perfino l’alternanza di genere, per il modo in cui è realizzata.

Più ancora che alterare la distribuzione dei seggi tra le liste (il Rosatellum fa venire meno i premi arbitrari di maggioranza), l’attuale sistema svuota la scelta dell’elettore entro la lista votata, manipolandola abusivamente. È indegno che questo sistema sia stato approvato e confermato. Meritano poi attenzione le modalità con cui i partiti hanno proceduto alla selezione dei candidati. È sconfortante come, nonostante la Costituzione, vi sia rassegnazione attorno alla perdurante torsione verticistica nelle procedure. Non solo non ci sono stati passi avanti nei partiti (soprattutto a destra) a trazione tradizionalmente verticistica, ma addirittura assistiamo a regressioni nei partiti che pur avevano sperimentato lodevoli procedure partecipative. Il PD, che pur riconosce il diritto degli elettori di «partecipare alle elezioni primarie per la scelta dei candidati del partito alle principali cariche istituzionali», si è omologato (senza giustificazioni). Il M5S prevede almeno una procedura partecipativa (le «parlamentarie»), che tuttavia ripropone alcuni limiti, a cominciare dalla auto-candidatura telematica, che favorisce la pulsione narcisistica anziché il riconoscimento di una credibilità personale.

In questa situazione, la tentazione della fuga dei cittadini dalle urne è altissima e comprensibile, ma farebbe il gioco inconfessabile delle oligarchie partitiche. Tornano in mente le parole del presidente Mattarella, nel discorso applauditissimo di insediamento: «La qualità stessa e il prestigio della rappresentanza dipendono, in misura non marginale, dalla capacità dei partiti di esprimere ciò che emerge nei diversi ambiti della vita economica e sociale, di favorire la partecipazione. (…) I partiti sono chiamati a rispondere alle domande di apertura che provengono dai cittadini e dalle forze sociali. (…) Il Parlamento ha davanti a sé un compito di grande importanza perché, attraverso nuove regole, può favorire una stagione di partecipazione». L’ipocrisia di quegli applausi era ed è – ora ancora di più - sotto gli occhi di tutti. Come può difendersi la Costituzione mortificando la partecipazione dei cittadini-elettori? Come si può contrastare l’involuzione verso un ambiguo presidenzialismo se il Parlamento è umiliato dai partiti? Sono domande che ci poniamo e che risuonano tragicamente. Chi risponderà?

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