L'Editoriale
Venerdì 03 Gennaio 2025
La febbre del dollaro tra dazi e sovranismi
MONDO. Tra i vertiginosi sussulti e disequilibri della contemporaneità globalizzata va tenuta d’occhio con grande attenzione la sempre meno tenace egemonia del dollaro sulle altre monete.
Dall’inizio del nuovo millennio sono infatti intervenuti avvenimenti di grande rilievo che hanno in qualche misura messo in discussione tale predominio. Con la costituzione dell’euro si è dato vita a una moneta assai stabile e apprezzata dai mercati, a cui molti Paesi oggi guardano con interesse. Cina e Russia stanno inoltre da tempo attuando varie iniziative con l’esplicita intenzione di superare radicalmente le regole definite con gli accordi di Bretton Woods. Quella di maggior rilievo è stata la costituzione del Brics (2006), un accordo finanziario tra Brasile, Russia, India e Cina, cui si è aggiunto il Sud Africa. Dopo varie riunioni annuali, nel 2014 questi Paesi hanno firmato un’intesa per la creazione di una grande banca di sviluppo denominata Brics, con sede a Shanghai e con un capitale di 50 miliardi di dollari, che può contare su un fondo strategico di capitali di riserva di 100 miliardi.
Gli effetti di euro e Brics
Con la nascita di questa banca, che ha lo scopo di operare in concorrenza con la Banca Mondiale, si è fatto un primo importante passo verso l’indebolimento del dollaro quale moneta di scambio internazionale, obiettivo principale a cui mirano Russia e Cina. Non a caso da qualche anno la Russia sta procedendo a grandi acquisti di oro sul mercato, contribuendo a innalzarne la quotazione per renderlo il vero «bene rifugio» in contrapposizione alla moneta statunitense. Dal canto suo la Cina – attraverso grandi investimenti in Africa, in Sud America, in Asia e in Europa – ha cercato sempre più d’indebolire la presenza finanziaria degli Usa in quei Paesi. La storia ci ha insegnato che la moneta non è solo un mezzo di pagamento, ma anche, se non soprattutto, uno strumento di potere.
Verso un mondo multipolare
La moneta di riferimento per il sistema economico e finanziario è sempre stata quella del Paese egemone: la Spagna nel XVI secolo; l’Olanda nel XVII; la Francia nel XVIII; la Gran Bretagna nel XIX; gli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale sino ai nostri giorni. Tutto ciò è ben presente alla Cina, che sta cercando di contrastare il ruolo di Paese egemone dell’America dando sempre maggiore impulso al ruolo del Brics di cui è la nazione più rappresentativa. Nel vertice di Kazan in Russia del 22 ottobre scorso è stato ufficializzato l’ampliamento dei Paesi aderenti, che da cinque sono diventati nove con l’ingresso di Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti. Altri 13 ne sono diventati partner. Nel corso dell’incontro è emersa la volontà dei vari Paesi di sostituire negli scambi internazionali il dollaro con altre valute, ridisegnando così il sistema monetario internazionale. È stata anche rimarcata la necessità di spingere per un mondo multipolare, ridando un ruolo centrale all’Onu attraverso una profonda revisione delle sue funzioni orientata a rappresentare meglio gli interessi del Sud globale.
Trump e la guerra commerciale
Contro questo ampio scenario d’intese in campo monetario ed economico si è già più volte espresso Donald Trump, dichiarando che difenderà la supremazia del dollaro anche a costo d’imporre ai Paesi del Brics dazi del 100%. Xi Jinping gli ha però prontamente risposto: «La guerra commerciale non avrà vincitori, va contro la storia e le leggi dell’economia». La Cina si propone dunque in campo internazionale come strenua sostenitrice del libero mercato, assumendo una posizione invero singolare per un Paese comunista. D’altro canto, se Trump ricorresse davvero alle massicce politiche protezionistiche annunciate, porrebbe fine al ruolo tradizionale svolto dagli Stati Uniti di principale difensore della concorrenza e del libero mercato. Quello che pare profilarsi, insomma, è un inedito scenario di stampo sovranista nel quale il dollaro rischia non poco.
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