L'Editoriale / Bergamo Città
Martedì 27 Agosto 2019
La famiglia
è il vero luogo
di fraternità
Pubblichiamo l’omelia che il vescovo Francesco Beschi ha tenuto al Pontificale per la festa di Sant’Alessandro.
Celebriamo la festa di Sant’Alessandro martire, nostro patrono, nel segno delle parole di Gesù, appena ascoltate: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi». Il martirio dei cristiani è caratterizzato non soltanto dalla fede, ma anche dall’amore, che allarga il suo orizzonte fino a raggiungere i nemici. Il martirio dei cristiani non è mai contro: come Gesù, anche i discepoli uniscono alla testimonianza di fede in Dio, quella dell’amore per tutti. Da questo amore, scaturisce la possibilità reale di riconoscere e vivere la fraternità nei confronti di ogni persona. Essa, non è soltanto l’esito della comune appartenenza alla specie umana, della comunanza di origini e di destino; non è neppure il tentativo di arginare la nostra bestialità istintiva per cui, a differenza di tutte le altre specie viventi, possiamo diventare belve per altri esseri umani: la fraternità cristiana viene alimentata dall’amore e da quell’amore che ha assunto il volto di Cristo. «Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amato». I cristiani sono portatori di questo contributo all’attesa che ogni uomo porta nel cuore, a volte nascosta o dimenticata, a volte addirittura tradita, irrisa e disprezzata. D’altra parte non possiamo dimenticare che la storia della fraternità comincia con un delitto, un fratricidio.
Da allora, con frequenza impressionante sono risuonate nella vita e nella storia degli uomini le parole di Caino: «Sono forse io, il custode di mio fratello?». Ancora oggi, in nome di una precedenza, di una primogenitura, di un primato, di un’esclusività, queste parole risuonano drammatiche, al punto da diventare autentiche condanne a morte per coloro che non riconosciamo come fratelli e infine, come persone umane. Il dramma del rifiuto o della sottovalutazione della fraternità in termini sociali, ha progressivamente indebolito anche la forza della giustizia, dell’uguaglianza, della libertà e della solidarietà. Non per nulla, le parole dell’apostolo Giovanni suonano tremende e severissime: «Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna».
Sorge allora la domanda: chi è mio fratello? perché un estraneo dovrebbe essere mio fratello? È una domanda legittima, che merita una risposta adeguata. Le grandi Dichiarazioni dei Diritti dell’uomo hanno indicato il valore della «fraternità universale», ma non riescono ad alimentarla: uguaglianza, giustizia e libertà, seppur parzialmente, possono essere garantite dalla legge, non così la fraternità. Emblematica rappresentazione della «evanescenza» della fraternità, ci viene offerta nel magnifico racconto di Joseph Roth «Il santo bevitore». Il primo dialogo narrato, vede il protagonista incontrare uno sconosciuto che gli rivolge un particolare saluto a cui il «barbone» risponderà icasticamente disegnando la condizione dell’uomo contemporaneo. «Era, come si è detto, già sera, e sotto i ponti, in riva al fiume, faceva più buio che sopra, sui ponti e sul lungo Senna. Il vagabondo dall’aspetto malconcio barcollava un po’. Sembrava non si accorgesse dell’anziano signore ben vestito. Costui invece, che non barcollava affatto ma veniva avanti dritto con passo sicuro, si era evidentemente già accorto di lontano dell’uomo barcollante. Il signore maturo sbarrò addirittura il passo all’uomo malconcio. Entrambi si fermarono, l’uno di fronte all’altro. “Dove va, fratello?” chiese l’anziano signore ben vestito. L’altro lo guardò un momento, poi disse: “Non sapevo di avere un fratello, e non so dove la strada mi porta”». È la condizione che oggi più di ieri sperimentiamo: l’ignoranza della fraternità e della sua concreta esperienza, accompagnata da uno smarrimento che ci impedisce ogni meta. Stiamo assistendo ad una degenerazione che lascia emergere preoccupanti forme di disprezzo, di razzismo e discriminazione che non possiamo né dobbiamo sottovalutare e tanto meno giustificare.
Papa Francesco scrive: «Oggi, quando le reti e gli strumenti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi, sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio» . La fraternità mistica e contemplativa consiste nel «guardare alla grandezza sacra del prossimo», «scoprire Dio in ogni essere umano», «sopportare le molestie del vivere insieme aggrappandosi all’amore di Dio» e «aprire il cuore all’amore divino per cercare la felicità degli altri come la cerca il loro Padre buono». «Non esiste umanesimo autentico che non contempli l’amore come vincolo tra gli esseri umani, sia esso di natura interpersonale, intima, sociale, politica o intellettuale. Su questo si fonda la necessità del dialogo e dell’incontro per costruire insieme con gli altri la società civile». (Papa Francesco – Firenze 2015).
La questione della «fraternità universale» è troppo importante per essere semplicemente affermata. La domanda «chi è mio fratello» risuona continuamente, anche nel Vangelo. Ma soltanto una concreta esperienza di fraternità è capace di aprirci alla sua universalità. La fraternità tra cristiani, che si costituisce nella celebrazione dell’Eucaristia, diventa un segno e un sacramento della fraternità universale, a cominciare dagli estranei, gli esclusi, i piccoli, i bisognosi: «Ogni volta che avete aiutato uno di questi miei fratelli più piccoli». La fraternità non è solo un principio o un valore: essa consiste nella concreta relazione con altri riconosciuti come fratelli. Il fondamento di questa relazione è una comune paternità. La critica radicale alla figura del padre, ci ha lasciati non solo orfani, ma anche soli. «Solo Gesù può dire Padre, noi possiamo solo dire “Padre nostro». Dio è per noi padre solo e sempre in quanto noi siamo parte della comunità dei suoi figli. La fede cristiana in Dio Padre deve necessariamente includere il sì ai fratelli, aprendo dunque alla dimensione sociale della fede. Una dimensione che diventa tanto più significativa nel momento in cui i cristiani cattolici perseguono con convinzione rapporti fraterni con tutti i cristiani, particolarmente con quelle comunità che abitano la nostra terra, e ricercano, con convinzione, relazioni fraterne con le comunità che professano altre religioni.
Nel riproporci le ragioni della fraternità, non possiamo dimenticare l’esperienza fondamentale della famiglia: la possibilità di vivere, come dato e come dono, la presenza di qualcuno che ci è inevitabilmente fratello. Oggi, un concorso di ragioni rende difficile l’esperienza della fratellanza pure in famiglia. La crisi demografica è tra i segni più inquietanti della nostra epoca e del nostro Paese: la rinuncia al figlio, e tanto più ai figli, pesa in maniera sempre più evidente sulle condizioni umane e sociali in cui viviamo. Un’atmosfera meno inquinata dall’individualismo insieme a convinte politiche familiari, possono permettere alla fraternità sorgiva, che è quella familiare, di ritornare ad alimentare la fraternità sociale. «Forse non sempre ne siamo consapevoli, ma è proprio la famiglia che introduce la fraternità nel mondo! La famiglia è il “luogo dove si impara a convivere nella differenza e ad appartenere ad altri”» (EG 66).
La fraternità, dunque, prende forza nella misura in cui non è solo teoria, ideale, valore, ma volto, corpo, incontro, condivisione. È necessario «toccare la carne del povero, la carne del fratello», altrimenti la fraternità non resiste al fratricidio. Queste prospettive hanno un’evidente rilevanza sociale, in vista del superamento del disumanizzante conflitto tra efficienza e solidarietà. «Una fraternità di uguali, resi tali dalle logiche organizzative, strumentali, omologanti, che ci vede funzionali gli uni agli altri all’interno di un’organizzazione, è una mistificazione della fraternità. Un conto è essere fratelli, perché unificati dall’esterno ed un conto è essere fratelli perché figli segnati dalla cura ricevuta. Uguaglianza e libertà, senza fraternità portano ad una diffusa e inevitabile arroganza».
Stiamo celebrando la festa di Sant’Alessandro, patrono della nostra Città e della nostra Diocesi. La sua testimonianza eroica, insieme a quella dei martiri di allora e di oggi, apre un varco nell’inesorabilità del conflitto e dello sfruttamento del più debole; apre una breccia nell’ineluttabilità della violenza del potere, di qualsiasi natura. La sua testimonianza, insieme a quella di una moltitudine di cristiani, apre varco e breccia alla possibile, meravigliosa fraternità. Che si possa dire di Bergamo, della nostra città e dei nostri paesi, delle nostre Parrocchie e della nostra Diocesi: «Ecco, una comunità fraterna».
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