La doppia vittoria, significati diversi

ITALIA. Il centrosinistra, o comunque lo si voglia chiamare, riesce ad impedire al suo avversario di infliggergli il colpo fatale quale sarebbe stato se le truppe di Meloni, Salvini e Tajani fossero riuscite a conquistare l’Emilia Romagna e a mantenere il predominio in Umbria con la governatrice uscente Donatella Tesei.

Questo sì che, dopo la cocente sconfitta in Liguria, avrebbe destabilizzato le leadership dei partiti del fu «campo largo»: sia Conte che Elly Schlein avrebbero dovuto cospargersi il capo di cenere e ci sarebbero state reazioni all’interno dei loro partiti. E invece no: hanno vinto Stefania Proietti in Umbria e Michele De Pascale in Emilia Romagna. E non è detto che l’affermazione di quest’ultimo fosse la più scontata.

Ma le vittorie in Emilia Romagna e in Umbria hanno significati diversi per i due maggiori partiti. Per Elly Schlein, innanzitutto: il suo atteggiamento «testardamente unitario» nei confronti dei pentastellati si rivela politicamente pagante; consente di vincere le elezioni e al Pd di essere il primo partito nelle due regioni (anche in Liguria per la verità), respingendo così un assalto della destra che va a vuoto. Soprattutto in Umbria, una regione dal Dopoguerra tradizionalmente di sinistra (pensate alla città operaia di Terni, oggi governata dal sindaco Stefano Bandecchi) ma che la leghista Donatella Tesei era riuscita ad assicurare alla destra battendo un Pd indebolito dagli scandali.

«Il cuore verde dell’Italia»

Oggi i democratici tornano a sedersi laddove sono stati per decenni, alla guida del «cuore verde dell’Italia», e lo fanno con una candidata, la sindaca di Assisi Stefania Proietti, che nessun alleato di centro o di sinistra si è permesso di contestare, come invece è capitato ad Andrea Orlando a Genova che ha dovuto subire non poche ferite da fuoco amico. Con questo spirito unitario portato avanti soprattutto dal Pd sia di Schlein che di Bonaccini, il centrosinistra riconquista le sue posizioni. Ed ecco quindi la lezione che riceve il M5S di Giuseppe Conte che agli Stati generali del Movimento metterà ai voti la scelta delle alleanze e della collocazione politica: chi tra gli ex grillini predica il «fare da soli» e di disimpegnarsi dalla costruzione di una coalizione progressista, non potrà non rispondere ad una semplice obiezione: in Liguria abbiamo perso perché ci siamo divisi, in Umbria e in Emilia Romagna abbiamo vinto perché abbiamo superato le reciproche differenze…

I risvolti politici

È un elemento molto importante su cui Conte, che sembra propendere per un isolamento tutto teso a riprendersi un’identità di sinistra, dovrà riflettere. Insieme al fatto che i voti che il M5S raccoglie nelle realtà locali sono ormai piuttosto striminziti e la prospettiva dell’isolamento equivale, in questi casi, all’autoemarginazione e all’irrilevanza. Il potere di veto infatti lo si esercita quando si dispone di un cospicuo tesoretto elettorale che regga il confronto con il partito leader, che è ormai inequivocabilmente, il Pd.

Il centrodestra e le ripercussioni

Da questo punto di vista ciò che è accaduto in questo mini turno elettorale non può non suscitare delle riflessioni anche nel centrodestra tentato - come sempre accade quando si governa seduti sul comodo cuscino di un vasto consenso - di sottovalutare le potenzialità dell’opposizione. Che è sì indebolita da mille fattori, a cominciare proprio dalle rivalità personali e dalle divisioni politiche (basti pensare all’invio delle armi a sostegno dell’Ucraina) ma che potrebbe riuscire, se superasse le proprie contraddizioni, a costruire una coalizione sfidante per l’attuale maggioranza.

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