La destra, i giovani
e il vecchio leone

I politici italiani in questi tempi, si sa, vivono come su una lastra di ghiaccio e sperano che improvvisamente non si crei una voragine che trascini primattori e comparse nell’acqua gelata. Tutti stanno infatti in un equilibrio precario: la maggioranza, partiti che si odiavano fino all’anno scorso e che ora pagherebbe oro per avere qualche voto in più al Senato e andare avanti col governo fino al 2023; e l’opposizione, in cui i giovani leader della destra, in competizione tra loro, non sanno come sbarazzarsi del vecchio leone che pure è all’origine delle loro stesse fortune, essendo il fondatore della ditta.

Di suo Berlusconi ha deciso di smarcarsi da Salvini e Meloni e di offrire al governo una opposizione dialogante che da una parte permette alla maggioranza di superare le prossime votazioni in Senato sul Bilancio e l’aumento del deficit, e dall’altra riceve in cambio alcune concessioni (per esempio sulle partite Iva) che si riveleranno preziose sul piano elettorale e soprattutto su quello politico: il Cavaliere così facendo torna ad essere un interlocutore centrale, imprescindibile, colui al quale occorre andare a chiedere i voti portando in dono ciò che lui chiede, almeno in parte.

Da Arcore non hanno alcun dubbio che questa sia la strada da percorrere, senza pensare ad allargamenti della maggioranza di governo, almeno per ora, e qualunque cosa ne pensi Salvini. Il quale rilascia dichiarazioni ruvide, accetta finalmente la supplica di tre deputati forzisti in fuga che sperano nella rielezione con la Lega, propone una «federazione del centrodestra» di cui ovviamente lui stesso dovrebbe essere il vertice con la Meloni accanto ma un po’ più in basso, e con Berlusconi contento per il semplice fatto di essere ancora preso in considerazione.

Un sogno infranto: l’ambizioso piano salviniano, molto simile a quello che concepì al Papeete nell’estate 2019 (e si sa come andò a finire) è considerato una provocazione e una trappola da Berlusconi e ignorato dalla Meloni. Il gelo di entrambi ha fatto cadere velocemente nel dimenticatoio il progetto: ognuno dovrà camminare da solo alle prossime elezioni anche se si voterà – come ricorda Bobo Maroni, che certo di Salvini non è né estimatore né amico – con la legge proporzionale. Ma le distanze sono troppo forti, e la competizione non ammette distrazioni: se Salvini vorrà diventare il leader di tutto il centrodestra nella prossima legislatura dovrà guadagnarselo. Anche perché se Forza Italia conserva il potere di Berlusconi ma perde voti e parlamentari, Fratelli d’Italia è in pienissima ascesa e Giorgia Meloni è stimata e considerata, e comincia a pensare a se stessa come alla prima donna premier della storia della Repubblica.

Entrambi però, Salvini e Meloni, hanno il problema di essere unicamente «la destra» e se vogliono vincere le elezioni e venire accettati a Bruxelles e nella nuova Washington di Joe Biden, dovranno presentarsi con le credenziali giuste, ossia con una patente di «centro» che solo Berlusconi, uno dei capi del Ppe legato a doppio filo alla Merkel, può concedere.

Ecco dunque il cappio che si sta stringendo intorno a questa alleanza obbligata che pure, stando alle elezioni parziali amministrative e ai sondaggi, conserva tuttora la maggioranza relativa dei voti degli Italiani. Berlusconi sembra non preoccuparsene più di tanto, forte della sua libertà di azione e della sua ineliminabilità, mentre Salvini sembra ancora una volta a corto di idee su come uscire dall’angolo. E sì che è lui tuttora il destinatario del maggior numero di voti, il che lo pone al vertice del partito di maggioranza relativa. Spesso però in politica avere tanti voti non è la cosa più importante: è semmai indispensabile sapere cosa farne.

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