L'Editoriale
Domenica 12 Novembre 2023
La democrazia liberale in bilico con la guerra in Palestina
MONDO. Per stendere un bilancio militare della guerra in corso in Palestina c’è ancora da attendere, anche se la supremazia delle forze messe in campo da Israele non lascia molti dubbi sul suo esito.
Per quel che riguarda invece il bilancio politico, bisogna riconoscere che Hamas ha già incassato numerosi successi. Sono bastati pochi giorni di bombardamenti israeliani su Gaza perché l’orrendo massacro - un vero e proprio progrom - di bambini, donne, anziani nonché dei ragazzi sorpresi nella notte del 7 ottobre a festeggiare la loro giovinezza, venisse oscurato. Subito le piazze del Medio Oriente si sono infiammate contro «l’occupazione israeliana» della Palestina. I governi arabi hanno ritrovato all’improvviso un’unità di sentire in funzione antisraeliana che fino al giorno prima sembrava impensabile. L’opinione pubblica occidentale, ben lungi dal rinsaldarsi a sostegno del popolo ebraico, fatto segno della più violenta aggressione dalla fine della seconda guerra mondiale, si sta sfaldando, aprendo una profonda crepa tra filo israeliani e filo palestinesi.
Sul piano geopolitico, poi, il fronte anti-occidentale capitanato da Cina e Russia, ne sta traendo grande beneficio. Si riducono i margini d’azione degli Stati Uniti, ora in difficoltà sui tutti i due fronti più caldi della politica internazionale: Palestina e Ucraina. Il campo occidentale accusa danni non solo sul fronte politico. È messo in affanno anche sul tema delicatissimo del suo patrimonio di ideali e di valori. È in atto il franamento di uno dei più importanti caposaldi della democrazia liberale: il rifiuto di ogni forma di razzismo. Parliamo del rigurgito di antisemitismo. L’orrore dell’Olocausto aveva risvegliato a fine guerra la coscienza democratica dell’Occidente che aveva voluto fare giustizia di secoli di persecuzione degli ebrei culminata nella Shoah. L’Onu li dotò di uno Stato che garantisse loro finalmente la patria prima negata.
Ora in settori sempre più ampi dell’opinione pubblica, sorprendentemente anche di sinistra, in testa università di prestigio, culla delle future classi dirigenti, si registra un risveglio, non solo di ostilità nei confronti della politica seguita da Netanyahu, ma anche di ricusazione di ogni base di legittimità dello Stato di Israele. Si tocca qui con mano il franamento di un altro dei fondamenti della legalità internazionale che ha garantito sinora un ordine planetario: l’inviolabilità dei confini e l’intoccabilità della sovranità di ogni Stato. Per avere un’idea della carica destabilizzante di un’eventuale cancellazione di Israele, caldeggiata da Hamas e da tutto il fondamentalismo islamico, basti pensare ai precedenti storici di richieste di revisione degli assetti statali consolidati.
Ultimo colpo inflitto da Hamas all’Occidente è costituito dal rinforzo che la guerra in Palestina ha portato al sentimento autodistruttivo dell’identità dell’Occidente. L’assioma che chi è potente non può che essere cattivo e chi non ha potere non può che essere buono, sta portando a sottoscrivere l’equazione che Israele è cattivo e i palestinesi sono buoni, a prescindere. Un pensiero ibrido di marxismo, anticolonialismo e anticapitalismo che fa tabula rasa di ogni ragione a sostegno di Israele, e per traslato dell’Occidente.
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