La crisi del rapporto fra politica e cultura

ITALIA. Il linguaggio relazionale e mediatico adottato da molti esponenti politici, spesso anche da chi ricopre alte cariche istituzionali, tende a rendere sempre più scialba la costruzione di dialettiche in grado di dare senso e profondità alla costruzione di un quanto mai necessario pensiero collettivo che sia più avveduto ed elevato, pur nelle sempre auspicabili differenti posizioni di vedute e di valori.

Oggi, lo sappiamo bene, prevale la ricerca dello scontro, volutamente alimentato utilizzando espressioni forti e frasi brutali, quasi primitive, assai simili a quelle in voga tra gli «odiatori social». Questo imbarbarimento della comunicazione sociopolitica - già profetizzato da Alessandro Baricco nei primi anni Duemila nel pamphlet «I barbari. Saggio sulla mutazione» - impedisce di avere quella visione e quella progettualità indispensabili per prendersi cura dei più urgenti problemi d’interesse generale: e sono tanti, e sono allarmanti.

Politica e cultura: rapporto in crisi

L’unico obiettivo pare invece essere diventato quello di ottenere consensi rapidi giocando in modo demagogico sull’ignoranza e sulla «bulimia digitale» della gente. In una delle memorabili scene del film «Miseria e nobiltà» (1954) Totò - allora bistrattato dalla critica, ma che oggi viene a ragione giudicato un genio dell’arte sua - apprestandosi a scrivere una lettera per un perdigiorno analfabeta gli dice: «Lei è ignorante? Bravo! Viva l’ignoranza».

Ebbene, proprio questa affermazione potrebbe essere ripetuta e fatta manifesto di gran parte dell’attuale classe politica, che si giova e fomenta implicitamente l’imbarbarimento dilagante.

L’attacco e le scorrettezze linguistiche pagano anche a livello di consensi elettorali

Accade così che il turpiloquio venga brandito come una clava, che l’informazione e lo studio abbiano perso ogni forza motivazionale, che la dignità, l’integrità e la coerenza siano considerati valori obsoleti. Ne abbiamo avuto recentemente un’inquietante riprova nelle elezioni statunitensi, che hanno definitivamente confermato, numeri alla mano, un teorema mediatico tra i più tristi e pericolosi della contemporaneità: l’attacco e le scorrettezze linguistiche pagano anche a livello di consensi elettorali.

Lontane le contrapposizioni dei grandi personaggi politici

Siamo a una distanza siderale da quelle colte contrapposizioni che caratterizzavano i dibattiti tra i grandi personaggi politici i quali, pur partendo da posizioni estremamente diverse, si sono impegnati nel dopoguerra a redigere e a consegnarci un’esemplare Carta costituzionale. Un professore di filosofia del liceo, a cui devo gran parte della mia formazione, nel manifestare la propria ammirazione per la profonda cultura di quei personaggi ci disse un giorno, molto compiaciuto, che in una seduta della Costituente, Palmiro Togliatti e Benedetto Croce (politici agli antipodi) dibatterono in latino. Il valore della cultura era da lui richiamato in ogni lezione, in ogni confronto o interrogazione. Ricordo ancora nitidamente alcune sue frasi, declamate con tono solenne, con le quali faceva diventare noi alunni uomini e cittadini ricordandoci che «solo la cultura può evitare scontri di civiltà» e che «la cultura è creazione di vita». Grande studioso di Socrate, Platone e soprattutto di Aristotele, si soffermava spesso su un’emblematica frase di quest’ultimo: «La cultura ha radici amare per avere frutti dolci».

Acquisire maggiore consapevolezza di sé e di ciò che ci circonda comporta sicuramente una grande fatica, ma la storia ci ha insegnato che ogni splendore duraturo prodotto dall’uomo abbia richiesto passione, determinazione e fatica. Un popolo in grado di raccogliere questi «frutti dolci della cultura» darebbe vita e sostanza a una reale «sovranità popolare».

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