La Costituzione
riforma coerente

Prosegue ormai da molti mesi l’acceso dibattito, promosso per lo più dalle Regioni del Nord, sulla necessità di essere destinatarie di nuove competenze. I contrastanti interessi territoriali di un’Italia che viaggia sempre più a due velocità tra Nord e Sud hanno tuttavia reso difficile, fino ad oggi, pervenire ad un provvedimento condiviso. Il problema potrebbe essere superato se fosse affrontato in modo sistemico, secondo i più esemplari dettami di una politica «alta», attraverso un comune impegno delle parti politiche per un’organica riforma della seconda parte della nostra Carta Costituzionale. Nei primi anni Novanta l’allora Lega Lombarda ha caratterizzato la sua attività politica facendo propria la riforma costituzionale d’ispirazione federalista di Gianfranco Miglio, successivamente messa da parte con l’adesione al governo Berlusconi.

Nel 2001 è stata approvata, con un referendum, una riforma del Titolo V della Costituzione che ha attribuito maggiori compiti alle Regioni. Negli anni successivi sono state sottoposte a referendum, come noto senza successo, riforme costituzionali più organiche come quella di Berlusconi del 2006 e di Renzi del 2016.

Oggi, con l’approvazione definitiva della riduzione del numero dei parlamentari, si rendono necessari ulteriori interventi legislativi di adeguamento dell’attuale legge elettorale. In merito una interessante apertura alla Lega è arrivata dal segretario del Pd Zingaretti, che si è reso disponibile per una nuova legge elettorale di tipo maggioritario e per riprendere il tema del federalismo. A questo punto, la responsabilità di fare il primo passo potrebbe essere proprio di Salvini, che attualmente secondo i sondaggi gode del maggior consenso elettorale, e che avrebbe il vantaggio di poter proporre a tutte le parti politiche un confronto su un progetto organico di riforma costituzionale già esistente, quello di Gianfranco Miglio.

Quel disegno - che in buona parte è stato ripreso nelle riforme costituzionali proposte da Berlusconi e Renzi - era fondato sul ruolo costituzionale assegnato all’autorità federale e a quella di tre macroregioni (Nord, Centro e Sud), oltre alle Regioni a statuto speciale. Prevedeva inoltre: che le spese dell’Unione non avrebbero dovuto superare il 50% del Pil (meno del 60% previsto dal Trattato di Maastricht); che il presidente federale avrebbe presieduto un «governo direttoriale» composto dai presidenti delle Regioni e che, per garantire l’unità del Paese, avrebbe dovuto essere eletto direttamente dal popolo; che all’autorità federale unitaria sarebbero stati attribuiti gli affari esteri, la difesa esterna e l’ordine interno, la finanza, l’istruzione universitaria e il coordinamento della ricerca scientifica; che tutti gli altri compiti sarebbero stati svolti dalle tre macroregioni, i cui contorni territoriali dovevano essere stabiliti con referendum popolare. Miglio auspicava anche la fine del bicameralismo perfetto, con l’istituzione di un Senato delle regioni, e delineava un federalismo fiscale che prevedeva la destinazione dei tributi laddove la ricchezza fosse stata effettivamente prodotta, ma che si dovesse tener conto di una quota destinata a finalità di redistribuzione territoriale.

L’aspetto più criticato di quel progetto fu la previsione di tre macroregioni di cui si riteneva assai complessa la gestione. Va detto, però, che l’attuale assetto regionale si mostra per molti aspetti ridondante e molto costoso, tanto da aver suggerito nel 2014 a Morassut e Ranucci del Pd un disegno di legge che prevedeva la riduzione delle Regioni da 19 a 8 con un risparmio, solo per la diminuzione dei Consigli, di circa 450 milioni di euro annui.

Oggi è sotto gli occhi di tutti, in presenza di una perdurante crisi politica, economica e sociale, l’incapacità delle strutture pubbliche centrali e di molte amministrazioni regionali di dare risposte adeguate ai bisogni dei cittadini. Ciò non può non richiamare la necessità di un urgente e profondo ripensamento del nostro assetto amministrativo centrale e periferico, quale presupposto necessario per realizzare un più celere ed efficiente funzionamento della macchina statale.

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