La coscienza civile del Paese

Italia. Colpisce come un trauma l’astensione, mentre il voto in Lombardia e Lazio conferma nettamente che il centrodestra a trazione Giorgia Meloni continua ad avere il vento dalla sua parte dopo le elezioni politiche del 25 settembre. Entrambe le tendenze erano annunciate.

L’apprezzamento verso la leader della destra non ha contenuto l’ingombrante presenza di quello che ormai è un ospite fisso: il crollo del numero di elettori, un deficit – si dirà – comune a tutte le democrazie occidentali, ma che sta precipitando verso livelli storici, da allarme rosso per le istituzioni. Un tasso di diserzione dalle urne attorno al 60% rappresenta un problema che interroga la coscienza civile del Paese, tanto più che è l’ultima tappa di una discesa di lunga durata, entrata purtroppo nelle consuetudini dell’elettorato.

Nel nostro caso si sono aggiunti fattori contingenti: una campagna elettorale un po’ «nascosta», l’assenza di leader di prima grandezza e del traino delle Politiche (come avvenuto la volta precedente), la pressione di temi più urgenti e l’effetto calamita di Sanremo che s’è preso tutto. Non ultimo, per la Lombardia, la considerazione di una Regione non contendibile, inespugnabile per le opposizioni, da 28 anni in mano al centrodestra e quindi con un blocco sociale e politico consistente. Anche se, stando ai sondaggisti, la smobilitazione elettorale è spalmata su tutti i partiti. Niente di sorprendente, tuttavia le Regionali, per quanto non scaldino i cuori più di tanto, hanno un impatto territoriale che incide direttamente sulla vita dei cittadini. Pensiamo soltanto a cosa significa la Sanità nei bilanci di questi enti e al peso della tragedia Covid in Lombardia, tema che è stato archiviato.

Forse l’esternazione di Berlusconi su Zelensky ha parzialmente rovinato la festa della premier, che comunque si conferma asso pigliatutto. È l’onda lunga del 25 settembre e quegli infortuni istituzionali visti in questi mesi non hanno smosso la sostanza del rapporto fra Meloni e l’elettorato. Se il compattamento a destra può rafforzare il piglio di comando della premier, gli interrogativi chiamano in causa la capacità delle opposizioni terremotate di rappresentare un’alternativa. L’impressione di una comunicazione giornalistica non sempre felice s’accompagna a previsioni talvolta inadeguate.

Si era detto che il problema di FdI era quello di non «vincere troppo» per non alterare i già delicati equilibri con Salvini e Berlusconi, specie là dove era tutto cominciato, con il leghismo e il berlusconismo. Però i voti di lista in Lombardia, pur ribadendo FdI primo partito, non hanno «cannibalizzato» ulteriormente i soci di maggioranza. Meloni, nell’area più produttiva del Paese, non vola oltre misura, perde qualche punto (in attesa dei numeri definitivi), Forza Italia tiene e la Lega, nella sua roccaforte, regge e guadagna qualcosa. Per Salvini c’era l’incubo di scendere sotto la soglia psicologica, e non solo, del 10%, invece le stime sono favorevoli considerando gli standard di questi mesi. Fontana, il candidato debole di una coalizione forte, in realtà sembra uscire bene dal voto. Un cenno di ripresa, un po’ di rientro a casa dell’elettorato padano, che lascia Salvini in sella e che ora può tirare un sospiro di sollievo.

Anche sull’altro versante erano già pronte le esequie del Pd sorpassato nei sondaggi dai post grillini e sotto l’Opa ostile di Conte da un lato e di Calenda-Renzi dall’altro, ma i voti di lista segnalano qualche punto in più rispetto alle Politiche del 25 settembre. Per capirci: nel contesto di un disastro (due sconfitte in pochi mesi, la perdita del Lazio, la mancanza di una leadership, uno psicodramma interno spesso incomprensibile, una fase congressuale infinita e senza uguali nel mondo occidentale) non ne ha aggiunto un altro, evitando il tracollo grazie al proprio zoccolo duro e confermandosi l’asse del centrosinistra. Magra consolazione in tempi inclementi per il centrosinistra.

Dice qualcosa di serio la sconfitta del partito di Conte, specie nel Lazio, perché in Lombardia da sempre ha scarso radicamento, e soprattutto del Terzo Polo e di Letizia Moratti che non hanno intercettato il voto d’opinione in uscita sia da Forza Italia e Pd, in quel Nord industriale dove già il centrodestra assorbe e miscela le domande dei produttori, fra moderatismo e radicalismo.

La lezione del voto suggerisce alle opposizioni, semmai ce ne fosse bisogno, un minimo comun denominatore, sospendendo le ostilità fra loro se non vogliono diventare la migliore assicurazione sulla vita del destra-centro, e dovrebbe orientare la maggioranza a spendere il tesoretto elettorale senza quelle asprezze istituzionali e intenti di rivincita talora visti nella fase di rodaggio.

© RIPRODUZIONE RISERVATA