La condanna di Trump: il mistero America

MONDO. La sostanza è una sola: una giuria popolare ha riconosciuto Donald Trump colpevole.

Una sentenza storica, perché per la prima volta nella storia degli Usa un ex presidente viene accusato e giudicato per una «felony», un reato che potrebbe portarlo in carcere fino a quattro anni. Da qui in avanti si apre una discussione che può diventare infinita, anche perché la metà trumpiana degli americani considera questo processo null’altro che un complotto politico. Di tutte le cose di cui Trump poteva essere accusato (ha cercato di modificare con l’inganno l’esito delle elezioni del 2020? È stato lui ad aizzare la folla contro il Campidoglio il 6 gennaio 2021?), è andata a giudizio quella più pruriginosa ma meno grave. La questione è nota: nel 2016, in piena campagna elettorale, il suo avvocato Michael Cohen aveva versato 130mila dollari alla pornodiva Stormy Daniels in cambio di un accordo di riservatezza sulla notte di sesso che lei e Trump avevano trascorso dieci anni prima. Diventato presidente Trump, la storia era (ovviamente?) saltata fuori, come era saltato fuori che i 130mila dollari erano stati occultati nei bilanci, peraltro miliardari, presentati da Trump. In sostanza, erano stati pagati «in nero».

Il procuratore Alvin Bragg, un magistrato elettivo dalle posizioni molto liberal, poteva scegliere: infrazione minore da risolvere con un’ammenda o reato da codice penale? Ha preso, come sappiamo, la seconda strada, sostenendo che la reiterazione (erano state numerose le operazioni per mimetizzare quei soldi) rendeva il reato particolarmente grave. Da qui le 34 imputazioni, in pratica una moltiplicata per 34, che la giuria di New York, tradizionale feudo del Partito democratico, è stata ben lieta di punire.

Entro metà luglio dovrebbe essere stabilita anche la pena. E grazie alla legge americana si potrebbe dare il caso paradossale di un politico che finisce dietro le sbarre, continua la campagna elettorale e riesce a farsi eleggere presidente. E adesso? È presto per dire che cosa potrebbe cambiare rispetto alle elezioni di fine anno. I democratici sperano che questa condanna possa allontanare da Trump una parte dell’elettorato repubblicano moderato che prima lo votava pur turandosi il naso e che ora potrebbe non sentirsi di sostenerlo. Trump ovviamente farà appello, anche se questo non sospende la condanna. E cercherà di trasformare la vicenda in una saga politica, in una congiura dei democratici in combutta con una parte del sistema giudiziario. Come si diceva, una certa quota del suo elettorato lo seguirà di sicuro ma in una sfida testa e testa questo potrebbe non bastare.

Comunque vada, resta un mistero come una grande potenza e una grande democrazia possa ridursi a scegliere tra un Trump e un Biden, un anziano signore bizzarro, imprevedibile e scorretto, che è riuscito a nuclearizzare l’un tempo dignitoso Partito repubblicano (per dire, la sua ex rivale e compagna di partito Nikki Haley va in Israele a firmare le bombe da sganciare sui palestinesi, come un’influencer della morte) e un ancor più anziano signore dalla dubbia lucidità che ai tempi di Obama era considerato nulla più che il gaffeur della Casa Bianca. Tra uno come Trump che un giorno dice che porterebbe la pace tra russi e ucraini in 24 ore e il giorno dopo dice che bisognerebbe bombardare Mosca. E l’altro, Biden, che da sei mesi fa finta di tirare le redini a Netanyahu e poi gli regala altri 26 miliardi di armi. Il disorientamento, anche internazionale, dell’America di questi ultimi anni non ha una faccia, ne ha due: la loro.

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